«Che faremo adesso?» chiese Jimin mentre osservava in maniera svogliata il suo piatto, riempito da un miscuglio di riso, verdura e carne.
Non aveva molto appetito e il fatto che muovesse le bacchette da una parte all'altra, spostandovi quei chicchi bianchi con queste, lo dimostrava palesemente, insieme anche a quella mano, chiusa a pugno, che teneva premuta contro la guancia.
«Non lo so» rispose freddamente il maggiore che se ne stava seduto difronte a lui e che sembrava essere nelle sue stesse condizioni.
Stomaco chiuso e mille pensieri a scuotere disastrosamente la loro quiete mentale.
Erano passati alcuni giorni da quando il ragazzo dai capelli corvini aveva abbandonato il carcere ed era ritornato a casa ma qualcosa era decisamente cambiato.
Era silenzioso e sembrava essere stato colpito da una sorta di apatia che non gli permetteva di esternare le sue reali emozioni, i suoi reali stati d'animo.
E quel suo silenzio così fitto e struggente frustrava e uccideva internamente il biondo che non riusciva a capirlo, che non riusciva ad intrufolarsi nella sua psiche, anche solo per un momento, per leggervi almeno un indizio che lo portasse a sapere qualcosa in più di quello che stava succedendo.
Ma l'altro aveva posizionato una barriera invalicabile. Era come, se a dividerli ci fosse una larga parete di vetro, apparentemente inscalfibile ma che al primo scossone era destinata a crollata in mille pezzi.
Jimin passò la lingua tra i suoi denti e si lasciò scappare un sospiro che sapeva di irritazione.
Perché si, quella si situazione lo stava irritando particolarmente.
«Se dico che te ne devi andare a fanculo, risulto troppo sgarbato?» sbottò improvvisamente, catturando con estrema velocità lo sguardo fulmineo dell'altro che corrugó le sopracciglia.
«Che vuoi dire?»
«Dico che sono stanco di questa situazione di merda» rispose schiettamente.
Successivamente, si alzò in piedi per uscire in giardino e prendere una boccata d'aria, la quale era diventata alquanto pesante dentro i suoi polmoni.
Come ogni essere umano, anche lui possedeva i suoi difetti. Aveva poca pazienza e di certo, non si sarebbe messo in ginocchio per supplicare l'altro di buttare fuori ciò che teneva nascosto dentro di sé.
Quel contesto che si era creato lo mandava in bestia.
Jungkook, d'altro canto, continuava non avere voglia di parlare ma decise comunque di uscire e sedersi sui gradini che davano accesso alla casa, osservando così il nervosismo che scandiva il fare avanti e indietro del biondo che, non appena lo vide, si fermò per iniziare a fumare una sigaretta, presa dal pacco tenuto in una tasca della sua tuta.
«Non ti supplicherò, non mi metterò in ginocchio per farti parlare ma almeno lasciami capire un briciolo di ciò che hai dentro quella cazzo di testa! Capisci che puoi ferire qualcuno con questi tuoi comportamenti?» disse, aspirando a lungo la nicotina, trasformata in fumo, da quel tubetto cilindrico ricoperto di carta finissima.
«Ti sto ferendo?»
La bocca dell'altro si storse a quella domanda.
«Mi stai prendendo in giro? Se è così, stai zitto che è meglio»
«Scusa se ti sto ferendo ma non ho voglia di parlare»
L'ennesima risposta che Jimin, ormai, aveva cominciato ad odiare profondamente.
Era sempre la stessa storia.
Ogni volta la stessa risposta.«Ok, tieniti i tuoi fottuti problemi per te»
Il maggiore chinò il capo e piegò le ginocchia attaccandole al suo petto, come se stesse assumendo una posizione di auto protezione dal male attorno a sé.
Non potendolo evitare, il minore lo fissò e la sua rabbia si abbatté immediatamente a quella vista.
Si precipitò da lui e abbassandosi alla sua altezza, si sedette al suo fianco per poi abbracciarlo e posare il mento sulla sua spalla.
«Scusa se sono stato brusco ma il tuo silenzio mi sta facendo impazzire. Perché non mi parli? So che non vuoi dirmi cosa ti è successo là dentro ma almeno dammi un cenno di vita. Ti vedo così spento e lacerato dentro. Sto soffrendo insieme a te» una lacrime traditrice varcò il suo volto e raggiunse il dorso della mano del maggiore che inghiottì il suo nodo in gola «Oltre a non parlare, anche il tuo atteggiamento è cambiato»
«Neanch'io so spiegarmelo»
«Nonostante questa tua chiusura, sappi che per qualunque cosa io sono qua. Se vuoi piangere, se vuoi ubriacarti, se vuoi soltanto un abbraccio... Quale sera fa, siamo stati a letto e le cose sembravano essere tornate, diciamo, alla normalità ed invece, no»
Stavolta, fu Jungkook a stringerlo in un caloroso abbraccio che, in parte, consolò la tristezza dell'altro.
«Ho visto cose che non avrei mai immaginato di vedere in quel tugurio e mi tormentano, mi assillano continuamente ma non preoccuparti, passerà»
«Smettila!» urlò infastidito, sfinito «Devi smetterla, mi stai facendo uscire fuori testa! Come possiamo, come puoi continuare in questo modo...? Vuoi che me ne vada e ritorni quando sarà tutto passato? Lo vuoi davvero?»
«No» contestò seccamente.
«Allora dimmi tu che fare!» esclamò spazientito.
«Non devi lasciarmi»
«E ok ma-»
«Ma un cazzo» Jungkook gli afferrò il viso per poter guardarlo in modo diretto «Lo capisci che ho bisogno di te?! È un periodo di merda ed io ho bisogno di te! Lo capisci?»
«I-Io... Si, lo capisco»
Jimin abbassò lo sguardo con malinconia, sentendo poi un paio di labbra posarsi delicatamente sulla sua fronte. D'istinto, socchiuse gli occhi ed entrambi si lasciarono cullare da quel poco di pace che riuscì a pervaderli.
«Sono così grato che tu rimanga al mio fianco, anche se non te lo dimostro...»
Il biondo avrebbe voluto replicare ma i due si videro interrotti da una chiamata entrante di Seokjin.
«Pronto?»
«Kook-ah, Son Ye ha partorito pochi minuti fa! Spero che tu riesca a venire!»
.
Certo cose non si superano e questa è una di quelle sskskkssks
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𝑯𝒂𝒕𝒆 𝒀𝒐𝒖 | 국민
FanfictionDove Jimin è il solito ragazzo cattivo della scuola e Jungkook è il suo professore d'inglese ed economia; ᴋᴏᴏᴋᴍɪɴ //ᴊɪᴋᴏᴏᴋ ᴏᴍᴏsᴇssᴜᴀʟᴇ sʜɪᴘ sᴇᴄᴏɴᴅᴀʀɪᴇ: sᴏᴘᴇ, ᴛᴀᴇᴊᴏᴏɴ