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Passarono varie settimane dal momento in cui accadde quello spiacevole inconveniente che portò i due giovani a separarsi.

Adesso, a distanza di due mesi, Jungkook si trovava tuttavia dietro le sbarre con un'accusa sulle spalle totalmente infondata ma Jimin, da fuori, non si era mai arreso all'idea di poterlo liberare.

Con l'aiuto di suo zio Myung, ingaggiarono un avvocato che, fortunatamente, li aiutò ad ottenere la libertà su cauzione per il maggiore, ossia il pagamento di una somma di denaro in cambio della libertà che sarebbe durata, però, fino alla data del processo, giorno in cui si sarebbe stabilita la condanna decisiva o l'assoluzione.

«Jeon sei fuori» annunciò una guardia che fece irruzione nella cella che gli era stata assegnata.

«Eh? In che senso?» domandò Jungkook, che lasciò immediatamente perdere il libro a cui stava dando una lettura, per prestare attenzione a quello aveva appena appreso.

La sua espressione annoiata e seria si perse nel nulla per fare spazio ad una incredula e felice.

Il solo pensiero di rivedere Jimin e i suoi amici faceva fare salti mortali al suo cuore che riprese a battere normalmente e con vitalità.

In quei due mesi di reclusione, aveva sentito la sua anima buona e dolce abbandonargli il corpo che lui definì poi morto, forse perché, quello che aveva vissuto durante quel lasso di tempo infinito, era stato come vivere una sorta d'inferno però sulla terra.

Quel luogo istituito, sin dai primi tempi, avente lo scopo di correggere e punire gli errori commessi dagli esseri umani, era soltanto una gigante maschera che nascondeva, al suo interno, un mondo macabro e intrinseco fatto di corruzione, ingiustizia e brutalità.

Il corvino ora lo sapeva. Aveva sofferto maledettamente e aveva visto cose che la sua memoria non avrebbe cancellato con facilità.

Gli incubi, ormai, lo tormentavano.

«Jeon ricordalo... Ciò che succede fra queste quattro mura, rimane qui» gli disse uno dei suoi compagni di prigione con un sguardo oscuro e privo di emozioni.

Ma d'altronde, un uomo che era lì con l'accusa di aver ucciso la propria moglie che emozioni avrebbe dovuto provare? Forse il rimorso, il pentimento, la colpa di aver commesso un gesto atroce ma no, niente di tutto ciò e a Jungkook, lo aveva confidato.

«Non mi pento. Era una puttana»

Il ribrezzo, l'impotenza e altri sentimenti contrastanti che quella confessione aveva suscitato in lui, lo costrinsero, quel giorno, a rigettare quel poco di poltiglia che il suo stomaco aveva ingerito.

In quel momento pensò a Jimin e a ciò per cui lo accusavano. Un altro conato di vomito lo colpì con maggiore intensità, tanto intenso che le forze, di alzarsi dal pavimento in cui si era inginocchiato, gli vennero a mancare.

Lui non era neanche mai stato capace di far male ad un misero insetto e pensare di farne ad un essere della sua stessa pasta, era paradossale. E infatti, di una cosa era più che certo.

Avrebbe preferito morire o andare all'inferno che abusare o uccidere la persona amata come quel mostro aveva fatto.

Era sempre stato dell'idea che la giusta pena per esseri del genere fosse la morte istantanea perché sono questi ad aver rovinato e messo il caos in un mondo che potrebbe essere soltanto dominato dalla pace, dall'amore e dalla felicità.

Ma questo era soltanto un sogno meraviglioso ma allo stesso tempo irrealizzabile, il male è radicato su ogni dove.

«Prepara la tua roba e vai, sei in libertà su cauzione» rispose l'uomo.

«Subito!»

Jungkook si mise velocemente in piedi, dalla sua scomoda brandina, e corse in giro per la cella ricercando tutti i suoi effetti personali.

Dopo pochi minuti, era già pronto e con un borsone poggiato sulle spalle si avviò verso l'uscita, fregandosene di quello che si era lasciato indietro. E non gli importò minimamente di avere i capelli scompigliati per via della nuova lunghezza e di aver sistemato i vestiti a casaccio.

Voleva semplicemente scappare da quel posto e odorare il profumo della libertà.

Jimin lo aspettava fuori la sede a braccia conserte e con il fondoschiena poggiato contro l'auto di Taehyung. Era terribilmente impaziente, anche se questo suo stato d'animo veniva nascosto dal suo cappello nero e dagli occhiali scuri che indossava.

La sua bocca si allargò in un sorriso smisurato quando vide sbucare dal cancello, la figura del meraviglioso ragazzo che aveva illuminato la sua esistenza.

Non si vedevano da due mesi perché gli era stato negato anche il colloquio, a parte con l'avvocato.

Jungkook lasciò cadere il borsone per poi correre incontro all'altro e finalmente insieme, diedero inizio ad un lungo abbraccio, a cui fecero compagnia alcune lacrime di sollievo e consolazione.

Jimin singhiozzò tristemente quando accarezzò il volto sciupato dell'altro e fissò il suo sguardo buio, nel quale si riusciva a scorgere una piccola luce soltanto se lo si guardava in profondità.

Si sentì in colpa.

«Jungkookie sei d-dimagrito un sacco...» disse sottovoce.

«Non è così buono il cibo lì dentro ma non importa!» contestó tentando di sorridere ma quella venne fuori fu soltanto una triste smorfia che strinse il cuore del minore.

Il moro lo tirò nuovamente fra le sue braccia, sentendo il suo tormento interiore affievolirsi perché Jimin trasmetteva in lui quel calore amoroso che in vita sua non aveva mai ricevuto. Con lui era felice, anche con un abbraccio, e l'inferno che aveva vissuto fino ad allora sembrava essersi trasformato nel paradiso terrestre.

«Mi sei mancato come l'aria che solo Dio può sapere quanto» mormorò a stento. Il biondo asciugò le sue lacrime, raccogliendole con i propri pollici e in seguito, cercò di baciarlo ma l'altro lo fermò «Anch'io muoio dalla voglia di baciarti ma non qui»

Gli occhi supplicanti e acquosi del più grande devastarono l'animo di Jimin che, in quel momento, pensava ad un modo per poter ritornare indietro nel tempo, a quel maledetto giorno in cui la polizia irruppe in casa.

Avrebbe dovuto prendere la sua mano e scappare via e non lasciarlo nella tana dei lupi.

«C-Che ti hanno fatto?»

«Non è successo nulla, Jiminie»

𝑯𝒂𝒕𝒆 𝒀𝒐𝒖 | 국민 Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora