Jimin accompagnò Jungkook in clinica ma, per prevenire, decise di rimanere in auto ed aspettarlo lì.
Il maggiore sistemò il suo cappello nero a visiera tonda e corse dentro, fino ad arrivare alla sezione nascite dove venne bloccato dalla voce di un'infermiera dietro una scrivania.
«Scusi ma qui è vietato correre per i corridoi. Chi sta cercando?» chiese la donna che era intenta a rovistare fra mille fogli e cartelle.
«Mi perdoni. Che stanza è Kim Son Ye?» domandò mentre le sue mani fremevano sul legno in cui poggiavano.
«Si, è la 133 ma lei chi è?»
«Sono lo zio» rispose con un sorriso fiacco che fece acconsentire l'adulta. E ringraziandola con un inchino, si incamminò verso la camera indicata.
Si trovava tra due poli, tra l'ansia consumatrice dovuta al fatto di vedere la sua famiglia e la felicità di essere finalmente diventato zio di un piccolo maschietto.
Sapeva di essere la fottuta pecora nera, di non essere più ben accetto ma non poteva farci niente. Doveva solo accettarlo, fine della storia.
Nessuno di loro, a parte Jin, aveva mai scritto una lettera o provato a fargli una visita in quei due mesi.
Era vero il fatto che gli era stato negato il permesso di avere i colloqui ma almeno un messaggio, o anche un misero cenno che gli avesse fatto sapere che non lo avevano abbandonato a sé stesso, che non era solo avrebbero potuto mandarlo ma no, non era successo niente di tutto ciò.
Eppure adesso, nonostante quel torto così grande, lui era corso lì per vedere il suo nipotino e la sua famiglia.
La porta della stanza era aperta e facendosi un po' più vicino, il corvino riuscì ad osservare suo fratello maggiore con il bebè tra le braccia che lo cullava dolcemente mentre Son Ye, sdraiata tuttavia sul lettino, sorrideva al guardarli.
Nessuno si era accorto della sua presenza fino a quel momento, tranne sua madre che non appena lo vide lì, impalato sulla soglia d'entrata, emise un'esclamazione di puro stupore.
Ora tutti presenti lo fissavano e Jungkook si sentì tremendamente giudicato da quegli occhi colmi di sorpresa e disprezzo. L'unica neurale sembrava essere la neomamma che, contro il volere notorio di suo marito, gli fece segno di avvicinarsi.
«Jungkookie come stai?» chiese sua cognata salutandolo con un bacio sulla guancia.
«Sto bene. Come si chiama?» la sua voce tremò e i suoi occhi divennero lucidi ma non avrebbe pianto, non davanti a loro. Li teneva bassi, coperti dalla visiera, perché se avesse incrociato quelli della donna che lo aveva messo al mondo, un'altra parte della sua anima si sarebbe malamente distrutta.
Avrebbe voluto odiarla per come si era sempre comportata nei suoi confronti ma era pur sempre sua madre, quella che gli aveva donato la vita.
Per un motivo o per un altro, esisterà in modo perenne quel filo conduttore che tiene legato il cuore di un bambino a quello della propria madre, che sia naturale ma anche adottiva.
«Hyun Min»
«Perchè sei qui? Non lascerò che tu tenga in braccio mio figlio» annunciò Hyun Bin, mettendo in avanti il suo piede di guerra.
Lui se lo aspettava, eccome se aspettava quelle parole e avrebbe voluto ridere, ridere fino a non avere più un solo briciolo di aria in corpo ma si trattenne.
Ridere per risollevare i vetri rotti della sua parete.
«Sono venuto per salutare mio nipote»
«Vattene, non sei il benvenuto qui! Tu che sei stato dentro quella topaia, non meriti di toccare con quelle mani un neonato»
«E sentiamo...» la sua voglia di piangere svanì nel nulla dopo aver ascoltato quelle frasi «Cosa avrei fatto con queste mani? Perché non meriterei di toccare quel bambino di cui sono lo zio, eh?»
«Ricorda per cosa sei finito dentro e poi dai la risposta alle tue inutili domande, bastardo»
Jungkook scattò velocemente ritrovandosi faccia a faccia con suo fratello maggiore che lo scrutava seriamente.
«Non ti metto le mani addosso solo perché hai tuo figlio in braccio e perché siamo in una fottuta clinica, hai capito? Altrimenti, ci saresti tu in quel lettino»
Non si era mai permesso di fronteggiarlo ma ne aveva piene le scatole. La ira si era distribuita rapidamente per il suo corpo fino a tenerlo completamente in pugno.
Sua madre afferrò il suo polso per poi tirargli uno schiaffo in pieno volto.
«Mio figlio non avrebbe mai fatto questo! Sei cambiato nel peggiore dei modi!» sbottò in seguito la donna.
«Sono cambiato? Davvero?» domandò con un sorriso sardonico ad adornargli la bocca che sfigurò l'espressione nevosa della donna «E da quando in qua mi consideri tuo figlio? Non ci sei mai stata per me e adesso hai il coraggio di dirmi che sono cambiato nel peggiore dei modi? Siete patetici»
«Jungkook non ti riconosco...»
«No, no... Non mi avete mai conosciuto, è diverso, mamma... Anzi a che ci siamo, toglietemi una curiosità. Mi credete davvero colpevole per ciò che mi accusano?»
Hyun Bin annuì senza pensarci su mentre l'adulta chinò lo sguardo, confermando i suoi pensieri.
«Scordatevi pure che esisto» disse Jungkook dirigendosi verso l'uscita ma il maggiore parlò nuovamente.
«Non sei mai esistito»
«L'unica cosa che mi dispiace è che quel bambino crescerà circondato da persone come voi ma per il resto non me ne frega un cazzo di ciò che dici. Il karma esiste per tutti, fratello»
-Promemoria del giorno ❤️
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𝑯𝒂𝒕𝒆 𝒀𝒐𝒖 | 국민
FanfictionDove Jimin è il solito ragazzo cattivo della scuola e Jungkook è il suo professore d'inglese ed economia; ᴋᴏᴏᴋᴍɪɴ //ᴊɪᴋᴏᴏᴋ ᴏᴍᴏsᴇssᴜᴀʟᴇ sʜɪᴘ sᴇᴄᴏɴᴅᴀʀɪᴇ: sᴏᴘᴇ, ᴛᴀᴇᴊᴏᴏɴ