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Park Ha Joon era cresciuto in una famiglia particolarmente all'antica e chiusa sotto ogni punto di vista umano e morale.

Era stato suo padre ad occuparsi della sua educazione insieme a quella dei suoi due fratelli maschi, escludendo da tutta questa questione sua moglie Josefina, un'altra donna sposatasi tramite accordi di famiglie ricche del paese.

Sembrava essere una sorta di maledizione della dinastia Park quella di sposare un qualcuno imposto solo per soldi e poi per avere degli eredi a succedergli in un prossimo futuro.

Lui e i suoi fratelli erano cresciuti con una visione della vita complessa e patriarcale, basata sull'essere avidi in tutto e per tutto e sulla misoginia, il disprezzo e l'odio per qualunque donna, vista da loro come un oggetto del male, utile soltanto alla procreazione dei figli.

L'uomo aveva insegnato loro che il denaro fosse l'unica fonte di bene nella vita e che senza questo, un uomo era unicamente un morto con capacità di camminare, un miserabile, un pezzente che meritava di strisciare sotto il comando di uno ricco e più forte.

«Devi comandare e non strisciare, Ha Joon. È questo che deve fare un uomo vero, il resto è soltanto spazzatura. Tu da che parte vuoi stare?»

«Comanderò, abuji. Non striscerò mai per nessuno»

E c'era riuscito.
Quando ebbe compiuto la maggiore età, dopo circa due anni, Ha Joon aprì la sua prima azienda. Divenne ricco, avido, un'identica fotocopia di suo padre che era più che orgoglioso del posto che il suo prediletto aveva raggiunto, seguendo le suo orme.

Ma giunto a quel punto, suo padre gli impose di sposarsi con una donna per concretizzare il suo potere.

«Devi avere un erede, figlio e lei proviene da una famiglia molto influente. E se poi non ti soddisfa sessualmente... Sai che fare»

«Hai ragione, abuji»

La manipolazione era un'altra dote di quella famiglia così oscura. L'uomo riusciva a manipolare il proprio figlio con una semplicità quasi impressionante.

Il ragazzo si sposò con una bellissima e dolce donna di nome Suran e con lei ebbe tre figli, due maschi e una femmina, Myung, Sung Sin e Seo Dan. E non si sarebbe mai aspettato che quest'ultima in futuro sarebbe diventata una donna forte e ribelle che non prestava ascolto a nessuno dei suoi ordini, delle sue incredibili pretese.

La tolse di mezzo perché nessuno doveva e poteva sottrarsi al potere delle sue parole, neanche se a farlo fosse una persona sangue del suo sangue.

Devi comandare e non strisciare.

Era diventato ossessionato da quella frase, era completamente ossessionato. Insediatasi al suo interno come un tatuaggio sulla pelle. Era come un mantra che ripeteva ogni volta che vedeva il suo riflesso allo specchio, dicendo a sé stesso che quello era giusto, lo faceva sentire meglio.

Preferiva uccidere che vedere qualcuno essergli disobbediente.

E così fece.
E non si sarebbe spaventato nel farlo un'altra volta, nonostante adesso fosse anziano e avesse una malattia degenerativa, che di lì a poco lo avrebbe catapultato nell'Ade.

Con la sua mano, stretta a pugno, accartocciava malamente quel pezzo di giornale che aveva appena letto.

Suo figlio Sung Sin, seduto difronte a lui, lo guardava seriamente e con un certo nervosismo. L'espressione dell'uomo in quel momento era davvero spaventosa, frivola e cattiva.

- Il prossimo erede dell'azienda Park esce allo scoperto con la sua vera natura - era il titolo stampato in grande sulla prima pagina del quotidiano insieme ad una foto che ritraeva un bacio tra Jimin e un ragazzo, Jungkook, ma il suo volto non si notava per via della posizione. Il tutto era ormai alla mercé dei cittadini coreani.

«Sapevi che quel bastardo fosse malato?» chiese l'anziano ferocemente, riferendosi all'omosessualità come una se fosse una fottuta malattia.

«L'ho scoperto qualche giorno fa, abuji» rispose con lo sguardo puntato verso il basso che rialzò quando sentì la sua guancia bruciare per via dello schiaffo appena ricevuto.

«Dovevi dirmelo, brutto inutile! Ha rovinato l'immagine della nostra azienda con la sua schifosa malattia!»

«Perdonami, abuji»

«Dimostrami che sei veramente pentito...»

Ha Joon mostrò uno sguardo tagliente, felino, trasmettendo la sua essenza nera, la sua cattiveria riprovevole al figlio che acconsentì con un cenno di capo.

«Lo proverò»

𝑯𝒂𝒕𝒆 𝒀𝒐𝒖 | 국민 Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora