Capitolo 48

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Demir

È l'alba quando lasciamo il ristorante.
La notte è passata senza che neanche ce ne rendessimo conto.
Troppe cose da riorganizzare.
Dopo una guerra, bisogna ricostruire e quando si parla di mafia non è diverso.

Bisogna arruolare uomini.
Gente che faccia da vedetta e gente che venda.
Persone corruttibili che hanno qualcosa da perdere, solo così puoi tenerle in pugno.

Ci vogliono Persone fidate che ti proteggano il culo e che facciano stare buoni quelli che sottostanno a te.

Bisogna riprendere in mano i giri di droga.

Di prostituzione non ne ho mai voluto sapere niente e lo stesso varrà adesso.

Dobbiamo riaprire i locali per ripulire i contanti.

Questa è stata solo una delle tante riunioni che seguiranno.

Tiran non mi ha ancora rivolto la parola.
È chiuso nel suo silenzio.

Io avevo messo in conto che accasasse quello che è successo, ma lui evidentemente no.

<<Tiran durerà poco>>.

<<Lo so. Sono il primo a voler dare tutto nelle mani a te, ho solo paura che non lo permetteranno>>.

<<Lo faranno, non avranno scelta. Faremo in modo che non ci sia altra possibilità>>.

Annuisce.

<<Tiran ti spiace se io vado in Hotel?>>.

<<No>>.

Voglio tornare a casa mia.

È mattina quando arriviamo.
Saluto Tiran con un cenno e scendo dall'auto.

Il mio Hotel, il mio orgoglio spadroneggia davanti a me.
È rimasto identico, maestoso e perfetto come era due anni fa.

Merito di ogni singolo dipendente che vi lavora.
Ho sempre avuto considerazione di loro.
Perché sono i dipendenti l'anima del mio Hotel.

Non voglio entrare dalla porta principale, motivo per cui decido di passare dal garage.

All'ingresso trovo uno dei vecchi dipendenti.
Mi ferma per chiedermi di mostrare la mia identità.
Sollevo il viso e lo fisso.
Mi riconosce subito.

Lavora per me da quando ho preso in gestione questo posto.
È un brav'uomo, un padre di famiglia.

<<Signor Sahid, mi scusi, ma io credevo fosse morto>>.

<<Tranquillo Sharad>>.
Do una pacca sulla sua spalla.
<<Hanno tutti la stessa reazione quando mi vedono>>.
<<Sono felice di vedere che sta bene. Ben tornato a casa sua>>.

Lo ringrazio con un cenno del capo.

Entro dentro il garage sotterraneo e mi rendo conto di aver sbagliato a voler passare da qui.
Il mio cuore inizia a battere come un folle dentro il petto.
La mente torna indietro.
Rivedo Kaleb, difronte a me.
La sua pistola puntata su di me.
Sento il rumore degli spari.
Il dolore al petto.

Stringo i pugni, cercando di ritrovare la calma.

È passato.

Mi sforzo di camminare fino all'ascensore, penso ad Angela, al suo viso, alla sua voce.
Solo così torna veramente la calma in me.

Schiaccio il tasto che porta all'attico.

Le porte si aprono al piano.
Un senso di familiarità mi invade.
Questa è casa mia.

(Sequel) Close your eyes and live Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora