Prologo

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Andrea

Varco l'atrio con la puntualità di un opossum in letargo.
La notte brava appena trascorsa mi ha lasciato segni che noto immediatamente non appena metto piede all'interno dell'ascensore. L'enorme specchio che compone la parete antistante alla porta mostra tutta la stanchezza che ho accumulato in queste settimane e i postumi della sbornia di stanotte; i capelli sono spettinati e il ciuffo, che solitamente al lavoro tiro all'indietro con della cera, è indomabile; le borse sotto gli occhi sono diventate pizze formato famiglia, per non parlare delle occhiaie... sembra sia passata un'autocisterna piena di cemento armato. La barba implora pietà, dovrei farla sistemare, e le palle girano talmente veloci che una trottola, in confronto, è un giradischi rotto.

Dopo il solito rantolo, seguito dal tipico colpo che fa quando ferma la sua corsa e che rischia seriamente di farmi pisciare addosso, esco dalla macchina infernale e oltrepasso l'androne dell'ultimo piano pronto per affrontare l'ennesimo sfogo irrazionale di papà. 

La prima cosa che noto, non appena arrivo vicino il suo ufficio, è Alena che mi fa l'occhiolino, dalla sua postazione di segretaria sexy, accavallando la gamba destra su quella sinistra. Quei tubini, che le valorizzano le tette e il culo, mi mandano su di giri. Un giorno le darò ciò che tanto brama.

Ma adesso no! Non è il momento di pensare a cavalcare. Devo trovare un modo per salvare il mio lavoro.

In fondo, ho sempre amato questa azienda. Per me è come casa; ci sono cresciuto e il pensiero di doverla perdere mi manda fuori di testa.

<<Papà mi hai fatto chiamare?>>
Chiedo dopo aver bussato alla porta.

Il suo ufficio racchiude tutto il bello dello stile dell'intera struttura: pareti bianche con foto artistiche che ritraggono le opere principali di tutti i paesi del mondo ed essenziali arredamenti nero lucidi: dai tavoli alle sedie, dalle poltrone in pelle ai divani realizzati della medesima fattura.

<< Sì, Andrea. Entra e chiudi la porta. La faccenda che sto per comunicarti non deve uscire da queste mura, chiaro?>>

<<Oh... ok>>, rispondo poco convinto. Mi accomodo e attendo pazientemente che finisca di compilare i documenti che ha in mano.

Papà ultimamente sembra uscito fuori di senno. Lo so, lui più di tutti è preoccupato per le sorti della compagnia ma quando dico che sta per toccare i limiti della pazzia non esagero.

Non potrò mai dimenticare quando andò da Ezechiele, nostro rivale in affari, per implorarlo di unire entrambe le aziende in una società e beccarsi in risposta una risata sadica e un vaffanculo velato.

O peggio, quando si recò dal parroco vicino casa, chiedendogli di farsi raccomandare da Gesù e mettere una buona parola per risollevare le sorti dell'impresa.

"Figlio mio, dobbiamo farci amico Gesù."

Ecco cosa mi disse quella volta, delirante e ubriaco, quando il prete lo accompagnò a casa.
E io, non posso biasimarlo.

Non fu colpa sua se il socio con il quale collaborava, lo tradì.

<< Tuo zio Piero è tornato in città. E sai che ha un ottimo rapporto con un dipendente del consiglio amministrativo di Serafini>> dice, alzando gli occhiali su per il naso e osservandomi serio.

<<Vuoi proporre a Serafini una società? Oh, papà... sai che neanche ti darà ascolto. Al massimo, la acquisirà per stravolgerla, licenziarci tutti e riassemblarla come farà comodo a lui. Conoscono tutti la sua fama da despota e non ti ascol...>>

<< Frena, frena, figliolo. Non ho mica detto che parlerò con Serafini. C'ho già provato e il suo amministratore delegato non ha voluto neanche ricevermi. No no, ho altro in mente.>>

10 Giorni per farla innamorareDove le storie prendono vita. Scoprilo ora