Pov's Nick .
Se ne era andata.
Pensavo di essere un gran coglione, perché non gli avevo finito di raccontare tutto quello che di drastico c'era stato nella mia vita.
Come la box, la droga, i soldi sporchi.
Mi sentivo un pallista che stava espiando le sue colpe per aver combinato guai su guai.
Ma Francesca non centrava niente, non doveva pagare anche per me. Era uno dei motivi per cui non gliene avevo parlato. Il primo era che ero un codardo, un coniglio con la coda fra le gambe.
Forse avrei dovuto lasciar andare Francesca, fargli dimenticare della mia esistenza scomparendo ancora.
Avevo bisogno di riflettere.
L'amavo più di me stesso e non c'era persona che avessi più a cuore.
Era la mia persona. La cosa più importante della mia vita. Lei veniva prima di qualsiasi altra cosa, aveva la precedenza su tutti e tutto, anche su me stesso.
Quello che provavo per lei non si portava sintetizzare in due, semplici, parole:" Ti amo".
Per me lei era molto di più di questo. Lei era il mondo, la mia casa, il mio cuore, la mia anima, il mio amore, il mio tutto.
Anche dopo tutte queste parole non mi sembrava ancora sufficiente.
Ma forse tutti questi sentimenti glieli dovevo dire, esporre semplicemente.
In tutto questo erano passato due giorni.
Avevo trascorso quei giorni dal suo lato del letto annusando il suo profumo sul cuscino che mano mano andava scemando e questo mi faceva sentire sempre più solo.
Decisi di alzarmi, lavarmi, cambiarmi e andare da lei e riprendermela, lottando con le unghie e con i denti.
Aprii l'armadio e trovai le mie magliette che ormai erano diventate anche sue.
Presi la sua preferita e la indossai e appena fu a intatto con la mia pelle mi sentii un po' più vicino a lei.
Non persi altro tempo e mi precipitai alla mia Harley, nonostante la pioggia che cadeva a fine Maggio. Dovevo arrivare da lei al più presto possibile.
Ero certo che fosse tornata a casa sua, non era il tipo che si appioppava a casa di amiche per giorni.
Arrivai difronte a quel cancello verde e bianco che precedeva la sua palazzina gialla canarino.
I lampi erano forti e la pioggia scheggiava il viso. Corsi verso il cancello ed aprii, con la chiave che mi aveva affidato lei, la porta di casa sua.
Quando la vidi era ferma, rannicchiata in un angolo buio della casa che abbracciava le sue ginocchia e si contorceva per la paura dei tuoni, di cui mi aveva confidato averne paura.
La presi al volo e me la portai tra le braccia.
Le guardai il viso e vidi che sorrideva mentre piano piano chiudeva le sue palpebre stanche che sembravano non unirsi da giorni ormai.
Le occhiaie sotto i suoi occhi erano più che evidenti.
Pensai in quel momento di essere l'unica causa di quel male che si portava sulla schiena e perciò capii che per alleviare il suo dolore potevo solo restarle affianco nella buona e nella cattiva sorte.
Sembrava una promessa di matrimonio, ma la mia era una promessa che non aveva bisogno di carta e penna per essere reale e indissolubile, la mia promessa andava oltre le parole perché richiedeva solo i fatti concreti.
La poggiai delicatamente sul suo letto e la spogliai lento e cauto a non svegliarla. Dopo averle fatto indossare il pigiama mi infilai con lei sotto il lenzuolo e l'abbracciai per tutta la notte per paura che potesse scappare da un momento all'altro.
Avevo bisogno di lei.
Aveva bisogno di me.
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E il diavolo mi salvó.
RomanceIl diavolo non ha sempre delle corna, una coda ed è rosso. Il diavolo può essere anche bello. Lui prima era un angelo, ma anche gli angeli più belli e buoni possono diventare cattivi. -"Sono cambiato perché m'hanno cambiato, sappilo, sappiatelo, anc...