Capitolo 12

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Tutti odiano dover sentire la voce di propria madre che dice di svegliarsi al mattino, quel giorno mi svegliai propio in quel modo. Mentre gustavo l'amaro del mio caffè creavo a mente la lista delle cose che odiavo.

-Mamma, c'è dello zucchero?-

-Fa male!-

-Non posso vivere la vita pensando a cosa fa male e a cosa fa bene-

-Svegliati!-

-Uffa-

Dissi.

Mentre fissavo il vuoto sentii i passi di mio fratello entrare, come al solito mi lanciò un'occhiataccia. Mi odiava, e non sapevo il perché, ogni volta che mi vedeva cambiava direzione, tentava in tutti i modi di evitarmi. Con i suoi modi infastiditi fece colazione, aveva lo sguardo basso e preferiva starsene in disparte. Preferii non pensare a lui e al suo atteggiamento. Quando la tazzina di caffè divenne vuota, mi alzai dal tavolo a mi diressi in camera mia. Come la maggior parte delle volte passai cinque minuti davanti all'armadio in cerca di qualcosa da mettere, pur avendo un guardaroba intero di vestiti non riuscivo mai a scegliere l'outfit perfetto. Scelsi il solito jeans e la solita felpa. Scesi le scale e raggiunsi l'uscita di casa, infilai le scarpe facendo intrecciare le dita con i lacci. Percepivo ancora il dolore dei lividi fatti dalla mia professoressa, inoltre mi ero accorto che sbattendo un enorme bernoccolo si era formato sulla mia fronte. Dopo la borsata che mi ero preso in classe il giorno prima fui aiutato da Asia ad alzarmi.

Mentre andavo scuola a piedi, mi arrivò un messaggio da mia migliore amica.

ASIA

Come ti senti? Fa ancora male la testa?

Preferii non rispondere, le avrei parlato in classe. Durante il tragitto pensai a quello che mi era successo. Era assurdo, una professoressa normale non mi dovrebbe fare una cosa del genere. Potevo agire, ma potevo anche lasciarmi tutto alle spalle. Non volevo oscurare la vita di una professoressa per un errore che aveva fatto. Scesi dall'autobus e mi diressi verso l'entrata di scuola. Proprio lì trovai Asia.

-Che fine hai fatto? Perché non rispondi ai messaggi?-

Disse.

-Scusa, a riguardo di quello che hai scritto...devo parlarti-

-Ok... spero sia tutto ok...-.

Il portone arrugginito che ci faceva accedere ai corridoi si aprì. Con le scarpe umide e scivolose attraversammo l'uscio e subito fummo immersi in quell'edificio che io chiamavo inferno, o anche detto scuola.

Io ed Asia restammo in silenzio mentre camminavamo tra i corridoi. Decisi di andare in bagno per prendere una boccata d'aria, metaforica, dato che nel bagno vi era un pessimo tanfo.

-Hai preso una bella botta!-

Disse un ragazzo che come me aveva deciso di perdere tempo in quel postaccio. Era Gianluca, il secchione della classe.

-Lasciami stare...-.

Nonostante la mia acidità lui mi sorrise ed uscì dal bagno. Feci la stessa cosa quando la campanella si fece sentire tra le aule. Entrai nella mia classe, sistemai le cose accanto ad Asia che aveva un viso piuttosto preoccupato, glielo si leggeva dagli occhi.

-Allora? Ti fanno male i lividi?-

Chiese.

-Si, e anche il bernoccolo che mi si è creato in testa-

Dissi sconcertato.

La professoressa, quella che aveva avuto l'idea di catapultarmi la sua borsa addosso, mi chiamò alla lavagna. Quale avventura mi sarei dovuto aspettare ancora? Mentre camminavo tra i banchi tenevo lo sguardo abbassato per vergogna. Avevo addosso la vergogna di poter sbagliare. Afferrai un gessetto dalla cattedra e mi avvicinai alla lavagna.

-Risolvi quest'espressione...-

Disse la voce spavalda della prof.

-Ma non abbiamo ancora studiato questo tipo di espressioni...-

Dissi.

-Taci!-.

Non sapevo cosa fare, mi sentivo in trappola, mi sentivo chiuso in un buco nero. Provai in tutti i modi di risolvere l'espressione, senza successo. Non avrei mai potuto studiare quell'espressione dato che non ci era mai stata spiegata. Lanciai un'occhiata d'aiuto ai miei compagni di classe.

-Professoressa... non abbiamo ancora studiato il tipo di espressioni che sta chiedendo ad Andrea, non conosciamo nemmeno il procedimento-

Disse Asia dal solito banco.

-Taci anche tu se non vuoi un quattro in pagella!-

Urlò la prof.

Asia delusa annuì.

Io intanto ero rimasto impalato davanti quei numeri.

-Visto! Sei inutile!-

Disse la prof rivolgendosi a me.

Poi lentamente si alzò con uno sguardo perfido. Mi afferrò bruscamente i capelli e mi fece sbattere contro la lavagna. Percepivo la mia palpebra pulsare, mi sentivo impotente. Mi sentivo inutile in quel mare di ingiustizia. Una lacrima mi attraversò il viso, non potetti fare a meno di sfogarmi, troppo era il dolore che percepivo.

-Guardate! Un maschio che piange! Che vergogna!-

Disse la prof.

Asia mi guardò, con i suoi occhi mi diete tutto il conforto che potevo avere in quel momento. Mi sentivo la persona più frustrata del mondo. Mi sentivo mancare l'aria, percepivo in me stesso la voglia di sparire dalla faccia della terra. Nessuno può capire ciò che si prova in situazioni come quelle a meno che non vengono vissute. Tornai in silenzio al mio posto avvolto dalle risate perfide dei miei compagni. Loro sapevano quanto me che ciò che stava accadendo era ingiusto.

Continuammo l'ora nel modo più frustante che ci potesse essere per me. Il dolore sulla mia pelle era forte tanto quanto quello nei miei pensieri. La campanella fu l'unica mia fonte di salvezza dopo l'accaduto. Asia mi prese per un braccio, e senza dirmi niente mi trascinò nel bagno dei maschi dove per fortuna non trovammo nessuno.

-Dobbiamo nascondere quell'enorme livido e quegli occhi rossi-

Disse.

Mi appoggiò del ghiaccio sul livido profondo che avevo sotto l'occhio. Per fortuna lei aveva sempre del ghiaccio istantaneo nella sua borsetta. Prese poi del correttore e more lo applicò sul punto di pelle diventato violaceo.

-Nessuno deve vedere questo-

Disse Asia preoccupata.

-Perché?-

Chiesi.

-È una lunga storia... ma resisti per me, non ho tempo e modo di spiegarti-.

Tutto ciò mi mise in disordine la testa. La mia migliore amica mi nascondeva qualcosa? Uscimmo dal bagno di nascosto e rientrammo in classe, percepivo le risatine dei miei compagni su di me. Solo Asia non era scoppiata a ridere come gli altri, forse mi capiva? Ma come poteva capirmi se non aveva mai vissuto una cosa del genere? Erano tante le domande che mi ponevo, forse troppe. L'unica cosa che volevo era un po' di libertà, un po' di giustizia nei miei confronti da parte degli altri. Non avevo fatto nulla di male, ma tutta quella cattiveria che ricevevo, un giorno sarebbe tornata indietro. Dovevo solo lasciare agire il tempo. 

Prima O Poi Sorgerà Il SoleDove le storie prendono vita. Scoprilo ora