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Elena

Josh mi ha difeso con i miei genitori, ma quando ha detto di essere lui il mio padre biologico ci sono rimasta di sasso. Per diciassette anni ho pensato che Paolo fosse mio padre e invece non è lui che dovrei chiamare papà. Guardo mia madre che sbuffa come se dovesse andare da qualche altra parte, come se avesse di meglio da fare, mentre Paolo mi guarda in attesa. Josh mi ha detto qualcosa, ma non ci capisco più nulla, non so cosa fare.
Guardo Rose che mi sorride gentile, non ci sarà nessuna Rose a consolarmi quando sarò a casa, non ci sarà Josh ad incitarmi per salire la parete rocciosa, ci saranno solo i quattro muri bianchi di camera mia. Faccio un respiro profondo e finalmente torno in me.

"Resto qui." Sentenzio seria, vedo Josh riprendere a respirare e sembra euforico mentre mia madre mi guarda allibita. "Non è il tuo ambiente questo Elena, è solo un passatempo temporaneo. La tua vera vita è dove c'è la gente che conta nel mondo universitario. Dov'è il futuro del paese." La voce di mia madre è tremante perché si rende conto di aver perso il suo giocattolo con cui di solito avvicinava le altre signore dell'alta società milanese. "Andiamo Paolo." Sibila e si alzano. "Ti manderò i documenti di disconoscimento dato che non è mia figlia. Glieli devi far firmare e poi me li rimandi grazie. Buona serata." Paolo mi liquida così dopo diciassette anni, pensavo mi volesse bene, nei film fanno sempre vedere che di solito il padre è chi ti cresce, ma qui non siamo in un film e chi mi ha scrosciato mi ha buttato via abbastanza in fretta senza il minimo rimorso.

"Come stai tesoro? Vuoi qualcosa di caldo?" Mi domanda Rose, ma io riesco solo a scuotere la testa. Ken e Josh sono andati a congedare mia madre e Paolo.
"Da quanto lo sai?" Chiedo a Josh non appena rientra in sala. "Da oggi pomeriggio. La busta dei risultati è arrivata oggi pomeriggio e quasi non ci credevo quando ho visto il risultato." Confessa cercando di trattenere l'entusiasmo. "Ne è valsa la pena patire la disintossicazione. Pensavo spesso a te quando ero in struttura." Ovviamente ora mi racconterà solo qualche pezzetto della sua versione, ma io voglio sapere tutto. "Come vi siete conosciuti?" Ha già capito a chi mi riferisco.
"In discoteca, lei era con le sue amiche snob e cercavano una distrazione, io ero con i miei amici e cercavano qualche ragazza con cui divertirci e basta. Me la sono scopata nei bagni senza pensarci tanto, mi facevo di acidi in quel momento." Abbassa lo sguardo come se si vergognasse. "Mi dispiace. Mi dispiace così tanto. Sapere che potrei essere io la causa dei tuoi attacchi d'ira. Non me lo perdonerò mai. Scusa." Scoppia a piangere davanti a me, Ken gli appoggia una mano sulla spalla, ma non riesco ad avercela con questo uomo che mi ha trovata solo dopo diciassette anni, poteva fregarsene di me e invece mi ha voluto qui con lui. "Non ce l'ho con te. Dovrai perdonarti perché starò qua con te a quanto sembra. Non ti colpevolizzo per i miei attacchi. Voglio solo sapere e mantenere il rapporto che avevamo in questi giorni." Espongo in maniera lenta e pacata. "Ok, ti dirò tutto quello che vuoi sapere. Davvero non mi ritieni responsabile?" Ha la voce tremante e si avvicina, ho già capito cosa vuole, ma non so se ne sono capace. "Davvero non ti ritengo responsabile." Non faccio in tempo a finire la frase che mi abbraccia e io non so bene come comportarmi.
Gli metto le braccia attorno alle spalle e appoggio la testa sulla sua spalla, dovrebbe essere un abbraccio questo.

"Dopo quella sera non hai più visto mia madre?" Chiedo mentre finiamo la cena. "No, ci vedevamo di nascosto dai tuoi nonni, quando loro non c'erano mi faceva entrare e scopavamo e basta. Io non ci capivo nulla e lei voleva solo essere distratta." Fa una pausa prima di riprendere il discorso. "Quando ha scoperto di essere incinta ha subito appioppato la paternità a Paolo e non sentiva ragione. Quando ero un po' più lucido tra una dose e l'altra gli chiesi se era sicura e lei era sicurissima. Ma il giorno che sei nata Paolo aveva una sentenza molto importante e la lasciò sola in ospedale. I tuoi nonni non si presentarono perché era uno scandalo. Tua zia mi fece chiamare e venni all'ospedale. C'ero io in sala parto con Emily e ti ho vista nascere.
Dormivi tra le mie braccia, non volevi sentire ragione di schiodarti, ma poi io andai in astinenza e tua zia dovette portarmi fuori per farmi la dose. Quando rientrai ti teneva in braccio Paolo e tua madre mi liquidò dicendomi che ero stato solo un passatempo. Tornai da dove ero venuto e ripresi a farmi." Tira su col naso perché immagino sia doloroso per lui rivivere quei momenti, ma io voglio sapere. "Non molto tempo dopo Emily era nel mio quartiere ti aveva in braccio. Paolo probabilmente era da un cliente e tu mi hai guardato negli occhi, mi sono sentito una merda. Sono sceso in Sicilia e la situazione è degenerata quando mia madre mi ha trovato quasi morto. Ho fatto i bagagli e sono volato fino in America per andare dentro una struttura per disintossicarmi. Ne sono uscito quattro anni dopo. Quando sono tornato tu eri cresciuta e Emily mi ha rinfacciato nuovamente che non potevi essere figlia mia. Per tutti questi anni ho sempre saputo dov'eri e come stavi, ma non potevo avvicinarmi a te perché Paolo aveva fatto un ordine restrittivo. Quando Ian è morto ho insistito io che ti mandassero qui da me. Te l'ho promesso non mi arrendo."

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