PROLOGO

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Vuoto. Era ciò che sentivo, ovunque mi trovassi in quel momento. Ho sempre pensato che ogni corpo, ogni anima appartenuta a qualsiasi individuo che respirasse in questa dannata terra fosse come un recipiente dove nel corso degli anni, attraverso esperienze, conoscenze e tutto quel che c'è da fare, si riempisse di emozioni, di desideri, di sogni. Ma ho saltato il dettaglio più importante, e cioè che il materiale con cui esso è fatto, è di vetro. Basterebbe un duro colpo, che sia un calcio, un pugno, una scarica di vento o perché no, un terremoto, affinché  questo cadi e tutto ciò che hai costruito fino a quel giorno della tua vita, è perso per sempre.

La sensazione di vuoto che sentivo, era proprio questa. Io ero caduta. Rimanevo in silenzio, immobile nel mio letto, osservando tutto ciò che si trovava intorno a me, anche se di fatto, non c'era niente.
Mi trovavo in una stanza blu, contornata dal piccolo raggio di luce che sfoggiava da una piccola finestra in alto, abbastanza per impedirmi di scappare. Il letto alla mia destra era diventato il mio migliore amico, e beh, per qualche strano motivo sul tavolino in fondo alla stanza, c'erano peluche e bambole di qualsiasi tipo, con libri, pastelli e fogli di carta; "per tenere la mente occupata e sentirti meno sola" mi aveva ripetuto l'infermiera, ma quella era solo una grande cazzata, non ero una bambina. Mi alzai, iniziando per il  duecentesimo giorno, se non ricordo male, a girare intorno a quelle pareti che ormai conoscevo a memoria, chiedendomi se mai un giorno sarei uscita da lì; se questa era la riabilitazione, allora forse sarebbe stato meglio rimanerci in quella vasca dodici mesi fa.

Il rumore delle chiavi inserite nella porta di quell'inferno rimbombò in tutta la stanza, e come da copione mi rimisi nel letto, con le gambe incrociate,  osservando l'entrata da red carpet della signora Torres, pronta per la sua dose giornaliera di domande.
" Buongiorno Ginevre, come stiamo oggi? " Mi domandò con la schiettezza che solo lei aveva. La signora Torres, o Mela Sbucciata come la chiamavo io a causa dei suoi capelli rossi e il camice verde e marroncino a ricordare per l'appunto una mela, era la terza infermiera che da qualche mese aveva iniziato a prendersi cura di me.  Forse aveva una relazione con  un medico e per fare colpo, si dava così tante arie, ma ovviamente era solo una mia supposizione, infondo quando non si ha più una vita è bello fantasticare su quelle degli altri. 

" Ginevre, anche oggi scena muta o ci decidiamo a dire qualcosa? "
" Mi scusi, ci sono. Sto bene." Risposi secca, portando lo sguardo su di lei, cercando di rimanere più calma possibile mentre maneggiava con il carrellino che si era portata dietro.
" Le nuove medicine stanno facendo effetto, ti vedo bene e non ci sono stati attacchi in questi ultimi due mesi, a parte..."
" Avevo fatto solo un brutto sogno, capita a tutti di svegliarsi con la luna storta e voler rompere qualcosa, non crede? " risposi infastidita a quel che stava per dire, distogliendo lo sguardo da lei, iniziando a contare nella mia mente fino a dieci per mantenere la calma.
" Mia cara, certo che lo credo, ma è proprio questo il punto, è il suo inconscio che cerca di uscire, ed è quello che dobbiamo tenere sotto controllo." Disse con tutta la disinvoltura del mondo, mentre afferrava il bicchiere d'acqua con le pillole che sfortunatamente, dovevo prendere a forza.

Mi lasciai andare in un sospiro, afferrando quel che mi aveva messo davanti per ingerirle. Ero stanca, ero rotta dentro e non so quanto avrei sopportato ancora la vita lì dov'ero; e se fino ad ora avete immaginato fosse un ospedale, beh forse sarebbe meglio aggiungerci affianco il termine psichiatrico, con meno persone gentili, cibo peggiore e senza alcuna visita giornaliera. Era simile ad una prigione, ma senza criminali, solo povere vittime che dovevano essere salvate da se stessi, ed io per quanto ci fossi dentro, non volevo essere una di quelle.

" E' meglio che tu oggi ti cambia, il dottor Richards verrà tra qualche ora, magari oggi sarà il tuo giorno fortunato per prendere una boccata d'aria." Sghignazzai a quella affermazione. Non vedevo il mondo esterno da mesi, era una precauzione necessaria mi avevano ripetuto, e dopo tante speranze infrante, avevo smesso di crederci.

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