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Rockfield Studios, 1975

Roger rimase in silenzio per tutto il viaggio

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Roger rimase in silenzio per tutto il viaggio. Superata la contea del Monmouthshire, iniziò a guardare storto il paesaggio che lo circondava. Arrivarono al capanno strizzati in una vecchia Chevrolet. Con i piedi nelle pozzanghere intrise di fango e terra, raggiunsero la rustica e fredda abitazione che li avrebbe ospitati per due mesi. Da fuori non sembrava uno studio di registrazione, ma Ray Foster aveva messo in chiaro che l'idea era di allontanarsi da qualsiasi tipo di distrazione. Lì sarebbe risultato piuttosto difficile trovarne una. Non c'erano nemmeno i telefoni, perciò nessuno di loro avrebbe potuto sentire la propria ragazza. John sarebbe diventato padre entro luglio e stava pregando di poter assistere al parto. Dopo il pranzo si misero subito a lavoro. Freddie scribacchiò sul suo taccuino, riprovando al pianoforte la canzone che aveva suonato a casa di Brian. John strimpellò al suo basso e Roger fissò il cielo plumbeo dalla finestra. "Niente distrazioni, sono d'accordo. Ma avrei preferito un'altra vista". "Non si può avere tutto dalla vita, tesoro" spiegò Freddie, giocando con la tastiera. Intanto canticchiava cose senza senso con un tono di voce basso. "Secondo voi ce la faremo in sei settimane?". "Non essere pessimista, Brian. Ci vuole determinazione e ingegno e noi ne siamo saturi" dichiarò John chinandosi su un foglio di carta. Ci scrisse qualcosa per poi tornare con le dita sulle corde. "Per te è facile. Ora sei sposato e stai per diventare padre. L'ispirazione non ti manca...". Prima di rispondere, John canticchiò "I've been with you such a long time.
You're my sunshine and I want you to know, that my feelings are true. I really love you...". 

"Tu hai Chrissie". Brian non rispose. Non sembrava molto preso da quella ragazza. Si alzò dal divano per potersi chiudere nella sua stanza. Dopo cena tornò da loro con uno spartito in mano. "Forse ho qualcosa". Freddie afferrò il foglio, leggendo ogni singola parola con attenzione. "Fa schifo, Brian. Riprovaci". Il riccio deglutì. "Grazie, Fred. Sei sempre così gentile, davvero". "Sono sincero, tesoro". I tre ragazzi si buttarono di peso sul divano, scoraggiati. Trascorsero i giorni e Freddie e John sembrarono essere gli unici con un'idea concreta e abbastanza discreta da essere presentata al pilastro della EMI Records. Roger diede una pacca sul petto a Brian. "Andiamo, dobbiamo metterci a lavoro". "Lo stiamo facendo, Rog. Questo silenzio è terribile. La mancanza di distrazioni mi distrae". John sgranò gli occhi. "Wow, che parole. Parti da questo esempio". In serata, quando Roger, Brian e John si sentirono troppo stanchi per poter continuare a suonare, Freddie rimase al suo pianoforte. Nei giorni precedenti aveva buttato giù delle frasi dedicate a Mary. Gli erano sembrate così dolci e vere che lo avevano fatto commuovere, bagnando così il taccuino. Le cantò digitandone le note sulla tastiera. Paul assistette a tutta la scena. Più tardi, quella sera, Freddie sarebbe venuto a patti con un lato di lui che ancora non aveva compreso. Un dubbio esistenziale che lo avrebbe accompagnato per tanto tempo prima di fargli domandare a quale Freddie Mercury tenesse di più. 

Paul si alzò all'improvviso, spegnendo la sigaretta nel porta cenere. "Davvero bella, come si chiama?". "Love of my life, l'ho scritta pensando a Mary". Paul alzò le sopracciglia, titubante. All'improvviso, si sporse su di lui per baciarlo. Si era sentito attratto da quell'eccentrico ragazzo dal loro primo incontro, ma aveva sempre esitato nel farsi avanti. Freddie si ritrovò a ricambiare il bacio. Qualcosa dentro di lui si smosse, ma non poté ancora comprendere che cosa. "Non fraintendere, Paul. Mary mi conosce più di chiunque altro". Raggruppò gli spartiti, per poi salire in camera sua. In quella stanza angusta e gelida, ripensò all'azione improvvisa e sconsiderata del loro assistente personale. In principio non era riuscito a chiudere occhio, e allo stesso tempo il giorno seguente si destò troppo tardi, saltando la colazione. Brian e John sedettero al bancone in cucina, vedendo Roger prepararsi un'omelette. "Quindi ti è venuta l'ispirazione facendo pipì?" chiese Brian in tono sarcastico. "Ero in bagno, sì". Il chitarrista sventolò il foglio dove Roger aveva scarabocchiato dei versi piuttosto spinti che riguardavano un'auto. "Sul serio?" il biondo si limitò ad annuire. "Ci ho messo tutto il cuore e tutta la mia anima". 

"Non lo mettiamo in dubbio, Rog

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"Non lo mettiamo in dubbio, Rog. Tu ami la tua auto, ma forse sarebbe stato meglio dedicarla ad una ragazza. Non credi?". Il batterista corrugò la fronte. "Che c'è di male nel testo? Sentiamo...". Brian riprese il foglio. "...with my hands on your grease gun? Molto elegante". "È una metafora". John agguantò le sue crepes, portandosi la forchetta alla bocca. "Ma devi ammettere che è strano. Insomma, ci spieghi che cosa stai facendo con quell'auto?". Roger si sentì incompreso. Era sempre stato un appassionato di auto d'epoca, ma c'era molto di più dietro a quelle parole. Allison sarebbe riuscita a leggere tra le righe se fosse stata lì. Aveva provato a scrivere una canzone per lei, ma le parole sembrarono non voler uscire. "Non è abbastanza forte, Rog" dichiarò Brian, bevendo il suo caffè. "Dici così perché vuoi solo le tue canzoni sul lato B". A quel punto, Roger prese lo spartito della canzone di Brian. "You call me sweet like I'm some kind of cheese... secondo te questo è abbastanza forte? Parli del formaggio". "È buona" ammise Brian, fiero della sua canzone. Freddie finalmente si fece vivo, commentando quello che stava succedendo in cucina. "Un dibattito sulla canzone di Roger" esclamò John. "Bene, sei riuscito a scrivere una canzone" dichiarò il cantante, fiero. "E vedessi che canzone" Brian infierì ancora. 

"Bambini, possiamo anche ucciderci a vicenda ma poi chi inciderebbe il disco?"

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"Bambini, possiamo anche ucciderci a vicenda ma poi chi inciderebbe il disco?". Freddie si accese una sigaretta, assaporando un po' d'aria fresca nella vasta campagna. Non poté far altro che ripensare a Paul. A ciò che aveva fatto e che cosa aveva fatto scaturire in lui. Tornò all'interno dello studio di registrazione, sedendosi al pianoforte. Quella canzone sembrò scivolargli nelle dita. Finalmente aggiunse delle parole. Parole che provenivano dai più profondi meandri della sua psiche. I versi strariparono da lui come un fiume in piena, tanto che urlò per potersi liberare di quel peso gravoso sul cuore. "...Goodbye, everybody – I've got to go. Gotta leave you all behind and face the truth. Mama, oooh. I don't want to die. Sometimes I wish I'd never been born at aaaaaall...". Liberatosi di quella vocina interiore, tirò un grosso respiro prima di potersi alzare da quella panca e presentare la canzone al resto del gruppo.

𝐑𝐚𝐝𝐢𝐨 𝐆𝐚 𝐠𝐚 | 𝐑𝐨𝐠𝐞𝐫 𝐓𝐚𝐲𝐥𝐨𝐫Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora