PROLOGO revisionato

595 25 22
                                    

Un vento caldo entra dalla finestra, scostando lievemente la tenda e lasciando penetrare nella stanza un tenue raggio di luna. La linea d'argento percorre le assi di legno del pavimento, sale sul letto e arriva a illuminare lievemente la mia coscia. Fisso le pieghe della veste, che mi si è appiccicata al corpo per il sudore; fa molto caldo e non riesco a dormire.

Mi rigiro più volte, senza trovare una posizione abbastanza comoda da scacciare via il turbine di pensieri che mi appesantisce il cuore.

Domani è il giorno. Ci siamo.

Il mio sguardo cade su una chiazza di muffa che si spande minacciosa da un angolo del soffitto; come veleno, dilaga e divora il bianco della parete. La osservo e non posso fare a meno di paragonarla a quella stupida Profezia, che un giorno ha deciso di appiccicarmisi addosso.

Il caldo nella stanza è soffocante e mi sembra che mi manchi il respiro, mentre col pensiero rivivo il momento in cui ho scoperto di essere proprio io il Sacrificio.

O, forse, l'avevo sempre saputo.

Forse, alcune cose sono scritte nella nostra anima e quando arrivano ci sorprendiamo, non tanto per la loro venuta, quanto per la flebile sensazione di conoscere già questo pezzo della nostra storia.

In ogni caso, devo ammettere che speravo non fosse vero. Speravo con tutto me stesso che l'oracolo si stesse sbagliando, ma ogni fibra del mio corpo sapeva che non era così. Lo sapeva il mio cuore, diventato all'improvviso di piombo, lo sapevano le mie ginocchia, che per la prima volta in diciotto anni non ressero il peso del corpo, e lo sapevano i miei occhi, che riversarono l'intero mare lungo le mie guance.

Avevo addirittura provato a ignorare tutta questa storia. Pensavo di poter continuare a vivere come se niente fosse, ma mi stavo solo illudendo.

Ammetto anche, però, che se c'è un'unica nota positiva che questa Profezia mi ha portato, è stata proprio il non poter continuare a vivere la vita di prima. Odiavo spogliarmi e danzare davanti a tutti quegli uomini e quelle donne, odiavo la sensazione delle loro mani sul mio corpo, i rantolii e i lamenti delle loro fastidiose voci. Odiavo il modo in cui mi guardava mio fratello. Come qualcosa di rotto. Di irrecuperabile. E mi voleva bene lo stesso. Forse era proprio questo che odiavo di più: sapere di essere comunque amato, nonostante io stesso non riuscissi a sopportarmi.

Una fitta al cuore mi costringe a portarci una mano sopra. Cerco di fare qualche respiro profondo, per calmarmi e provare a scacciare via questi pensieri. Era tanto che non ripensavo alla mia vita, a com'era prima.

Per più di due anni da quel fatidico giorno, ho camminato per le vie del villaggio sorbendomi gli sguardi dispiaciuti degli abitanti. Non voglio la loro pietà. E poi, chi mi dice che in realtà non siano felici? Non è toccato a loro essere il Sacrificio, né alle loro mogli o ai loro figli. Io dovrò andarmene e loro saranno tutti salvi.

Vorrei urlare, ma ho paura di svegliare mio fratello, così ingoio i pensieri tristi e li rimando giù, fino alle mie viscere, fino alle viscere della terra.

Penso a mio fratello e ai miei amici... e so che alcuni di quegli sguardi dispiaciuti sono sinceri ed è per quegli sguardi che sento di dovermi sacrificare. Non sopporterei vedere una delle persone a me care morire al posto mio. Lo devo fare, devo partire anche se fa male.

E fa male sapere che da domani, quando lascerò il villaggio, potrà passare un anno, o dieci, o anche solo un mese forse, e poi probabilmente morirò. Per quanto l'oracolo sia stato vago, tutti conoscono la Profezia: tutti sanno che, alla fine, il Prescelto muore. Non mi chiamerebbero Sacrificio altrimenti. Mi sembra di essere stato privato di qualcosa.

Lasciati salvareDove le storie prendono vita. Scoprilo ora