CAPITOLO II revisionato

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 Devo combattere con lui.

Ok, calma Kees.

Appena mi arriva abbastanza vicino, non gli do neanche il tempo di mettersi nella posizione di guardia che subito mi lancio addosso a lui, cercando di colpirlo al volto. Perché è così che faccio, quando vado nel panico: agisco d'impulso, senza pensare, nonostante Ian mi abbia rimproverato più volte a riguardo.

Il Comandante per un attimo sembra colto di sorpresa dalla repentinità dell'azione, ma subito mette a fuoco il colpo che gli sta per arrivare e, invece di contrastarlo o pararlo, semplicemente lo schiva spostandosi a sinistra. Il mio pugno non trova l'impatto previsto e finisco per sbilanciarmi in avanti. Il guerriero mi rivolge un ghigno divertito, che punge tremendamente il mio orgoglio; mi scaglio contro di lui una seconda volta, poi una terza e una quarta, ma il Comandante non fa altro che schivare o deviare i miei colpi, con parate morbide e circolari, che mi fanno perdere l'equilibrio e la pazienza. Sì, soprattutto la pazienza. Non tanto perché non riesco a colpirlo, quanto perché mi schiva e si protegge dai colpi con una tranquillità tale da sbattermi in faccia quanto io sia irruento e disordinato.

Poi inizia ad attaccare anche lui.

I suoi colpi sono fluidi e precisi; li accuso stringendo i denti, ma senza lamentarmi e ogni volta che cado a terra mi rialzo, deciso a non dargliela vinta.

Finalmente, riesco anche io ad andare a segno qualche volta, ma una parte di me sa che questo accade soltanto perché è lui a permetterlo. Comincio a capire la differenza che c'è tra noi: io sono impazienza, lui è calma, concentrazione; i miei colpi sono duri, rigidi, i suoi fluidi, potenti.

Di scatto, si china agilmente verso il basso e mi travolge con una spazzata alla caviglia destra, facendomi crollare a terra per l'ennesima volta. L'impatto con le assi della nave è talmente forte da togliermi il fiato.

«Non sei male, scricciolo» esordisce sogghignando, mentre tende una mano verso di me, per aiutarmi a rimettermi in piedi.

Sul serio? "Scricciolo" è l'eroico soprannome che mi è stato appioppato?

La sua mano è ancora protesa davanti a me, ma il mio orgoglio ferito mi impedisce ci accettare la sua offerta; perciò, decido di scansarlo con un gesto secco e alzarmi da solo. So che me lo sarei dovuto aspettare. Di fare schifo, intendo. Dopotutto lui è addestrato a combattere... era scontato che mi avrebbe conciato per le feste. Forse, però, non è tanto l'aver perso a infastidirmi così. Forse mi importava fare bella figura di fronte a lui.

Mentre spazzo via la polvere dagli abiti, con la coda dell'occhio osservo il suo volto e, per un attimo, sono sicuro di aver intravisto un velo di delusione mista a rabbia ombrare il suo sguardo.

«D'accordo, basta combattimenti per ora. Hai bisogno di qualche esercizio che ti aiuti a migliorare la concentrazione e la pazienza» mentre parla si piazza davanti a me, in una posizione che gli ho visto assumere più volte, quando si addestrava nella nostra isola, insieme agli altri guerrieri.

Aspetto che faccia qualcosa, ma non succede niente. Lo osservo perplesso, rimanendo anch'io immobile, finché non mi fa cenno di imitarlo.

«Scusi, ma perché questa cosa dovrebbe aiutarmi?» voglio stuzzicarlo, anche se in fondo so di essere solamente ferito nell'orgoglio.

«Perché dovrai stare in questa posizione per dieci minuti, senza muoverti»

A cosa diamine serve stare immobili?!

«È un esercizio stupido» mormoro piano, mentre cerco di mettermi come lui.

A quanto pare, la sfortuna è dalla mia parte perché il Comandante corruga la fronte e capisco che ha sentito ogni parola.

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