CAPITOLO I revisionato

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L'equipaggio della nave è pronto a salpare; è il momento di salutare tutti. Gli abitanti mi si avvicinano e mi porgono dei doni, c'è chi mi regala pesanti indumenti di lana, chi cestini con frutta candita e dolci, chi amuleti fatti a mano. Una volta consegnati ai marinai, ci pensano loro a caricarli sulla nave.

Devo salutare Ian. Vado verso di lui, cercando di non cedere al pianto di fronte a tutti. Sento il labbro inferiore che inizia a tremare, così serro i denti e deglutisco. Arrivo davanti a mio fratello e mi fermo a guardarlo, per stampare la sua immagine nella mia memoria; poi lo abbraccio forte. C'è una miriade di cose che vorrei dirgli ora, per recuperare tutto il tempo che ho passato a rattristarlo, andando a spogliarmi in quella taverna o azzuffandomi con altri ragazzi. Vorrei dirgli di stare tranquillo, di non preoccuparsi, ma riesco solo a stringerlo ancora di più.

«Sii forte»

«Sii coraggioso» la sua voce si incrina sul finire della frase.

Mi volto verso l'immensa distesa d'acqua su cui inizierà il mio viaggio. Il sole, che non è ancora tramontato del tutto, infiamma le colonne bianche del porticato, promettendo che sorgerà anche domani. Le bacia un'ultima volta, prima della notte, ma le colonne sanno che tornerà a scaldarle. Il mio, invece, è un vero e proprio addio.

Con la coda dell'occhio, mi accorgo che il Comandante ha già salutato la sua famiglia e ora è sulla passerella della nave, ad aspettare che io lo raggiunga.

Non voglio voltarmi indietro. Non voglio...

Poggio un piede sulle assi di legno, faccio il primo passo... il secondo... il terzo. Non resisto. Mi volto.

Gli occhi mi si riempiono di lacrime e sento un nodo salirmi fino in gola. Forse sono tutte le parole gentili che avrei potuto dire a Ian in questi ultimi due anni, prima di andarmene, che però ho egoisticamente tenuto per me.

Mi giro di scatto e corro sulla passerella, cercando di far passare il momento il più in fretta possibile.

La nave parte, lasciando a terra il mio cuore e portandosi dietro solo il corpo, che è come di pietra, immobile, se non per la mano che oscilla a mezz'aria, per salutare chi è rimasto nella piazza. Quando siamo ormai abbastanza lontani da non poter più distinguere la gente, da non poter distinguere gli occhi di Ian, carichi di dolore, lascio cadere lo sguardo verso i miei piedi. Fisso le nervature del legno e le vedo percorrere strade che si intrecciano, si lasciano e si ritrovano.

Resto così, curvo su me stesso, come qualcosa di abbandonato, finché un tonfo alle mie spalle non mi riscuote dai miei pensieri. Dietro di me, ci sono delle scalette che scendono sottocoperta, dove un marinaio ha appena lasciato cadere pesantemente due materassi di paglia e delle lenzuola sgualcite e piene di toppe. Il mio sguardo incrocia quello dell'uomo, che si affretta a spiegare:

«Uno per te e uno per il guerriero»

E all'improvviso mi ricordo del Comandante. Dov'è?

Mi guardo intorno e lo trovo in piedi sul ponte, a fissare la terra che diventa sempre più piccola. Se ne sta immobile anche lui, con la sua postura eretta e fiera e gli occhi seri, e scruta la nostra isola, baciata dai raggi del tramonto, che si allontana.

Sono stato così concentrato su me stesso, da non pensare che anche lui ha lasciato tutto e che, anche se non è il Sacrificio, sta andando incontro al pericolo e forse alla morte, dovendo combattere al mio fianco. In più, soltanto la scorsa notte ha saputo di dover partire. Io ho avuto ben due anni per prepararmi.

Rifletto se andare lì a dirgli qualcosa, ma temo che non sarei affatto d'aiuto. Non amo conversare e in qualche modo la sua figura mi intimorisce.

Il guerriero si volta all'improvviso nella mia direzione, forse sentendosi osservato. Lancia un'ultima occhiata al mare e, sospirando, mi passa davanti e si dirige verso le scale.

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