Regina di fango, regina del peccato

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Non so quanti eroi abbiano preso la metro per poter raggiungere la loro famigerata nemesi nel luogo dell'epocale resa dei conti. Ma ehi, io uno, non avevo i soldi per il biglietto del pullman, due, come ci arrivavo da Charing Cross a Westminster, con un razzo supersonico nel culo? Per mia sfortuna ho fatto la "schizzinosa" quando James me l'aveva proposto.

E tre, no, non potevo smaterializzarmi perché ancora non riesco a coprire distanze troppo grandi... sennò avrei finito col vomitare sopra la mia famigerata nemesi e non sarebbe poi stato carino finire nei libri di storia per aver dato di stomaco sulla strega più potente di tutti i tempi, giusto?

Ma poi io non sono nemmeno un eroe.

Almeno non più del tizio che ha appena tirato su un pezzo di pizza da terra e se l'è mangiato. Sapete, una volta qualcuno ha detto che sulla metropolitana ci sarebbe molta meno confusione se non fosse piena di leggende. Ecco lui è una di quelle. Forse anche io lo sono, alla fine. Forse lo sono - cioè lo siamo - un po' tutti noi viaggiatori delle sette di sera.

Mi studio nel vetro opaco che separa i vagoni. La camicia bianca e strappata che si sbottona sul mio petto sporco di sangue e carbone, il viso tagliato e macchiato di fuliggine, i jeans praticamente a brandelli, l'esplosione di riccioli rosso fuoco in testa che si dipanano sul mio collo sudato come vermi e le converse verdi incrostate.

Cosa devono pensare i miei compagni di viaggio di me? È anche vero che sulla metropolitana di Londra le stranezze non sono una rarità, però...

Sposto lo sguardo sui sedili bluastri nelle loro corinci metalliche e grige, sul pavimento ospedaliero e rilucente, sulle aste gialle che pendono dal soffitto, sull'anziana signora indiana dai vestiti drappeggianti davanti a me che sta facendo fuori il suo pacchetto di doritos alla velocità della luce.

Sulla scolaresca di bambine in uniforme che parlottano tra loro con i nasini nascosti dietro i volantini del National Gallery, dove presumo siano dirette insieme al maestro che sonnecchia alla mia destra, sul fumoso buio di forma quadrata dei finestrini, sulla band jazz i cui tromboni dorati occupano metà del vagone, sul cerchio rosso trafitto da quella barra blu che si vede ovunque nelle fermate quando il treno si ferma, sul groviglio di fili colorati delle piantine, sulle scale mobili e sulle gallerie oltre i vetri.

Rimango così incantata da tutta la poesia racchiusa in questa effimera umanità sottoranea che sobbalzo nel sentire la voce registrata annunciare la mia fermata. «Stop Westminster»

Mi alzo di scatto, indosso in fretta la tracolla, sorrido ai passeggeri vicini, gli altoparlanti insistono nel ripetere: «Westminster stop, Westminster» ed io mi dirigo fuori, scendendo dal vagone e atterrando sull'asfalto della stazione.

Sguscio nella folla di quei musicisti di prima, approfitto della confusione creata dalla banda per saltare sopra l'asta del tornello e svolto per le scale. Sbuco poi nella luce di Bridge Street, zizago tra i turisti gravidi di souvenir e attraverso la strada, ascoltandone i rumori, i battelli sul fiume, la gente, lo squillo dei semafori, i clacson dei taxi.
Lascio correre le dita sulle grate dei cancelli bagnati dell'abbazia e alzo gli occhi verso Westminster e il Big Ben, dopo aver raggiunto il marciapiede.

Quindi mi nascondo nello spazio tra una Cooper e una BMW parcheggiate sotto un lampione già acceso - beh è normale... è il crepuscolo, mi ricordo - e mi smaterializzo. Avverto i soliti pizzicotti sulla pelle, lo stomaco fare le sue capriole e, quando sollevo le palpebre, sono nella sala ingranaggi.

«A me e te adesso, Morgana» dico. Poi però una porta mi si chiude alle spalle.

***

Dipartimento Misteri, Londra
4 Aprile, ore 18.58 PM
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James

What's in a name? That which we call a RoseDove le storie prendono vita. Scoprilo ora