I leggeri raggi del sole di prima mattina, penetrano dalla finestra, facendomi mugolare assonnata. Porto un braccio sugli occhi mentre cerco di sgranchire le gambe, cosa alquanto impossibile a causa di qualcosa di grande e pesante alla fine del letto. Sospiro e con ancora gli occhi chiusi e la voce impastata dal sonno, mugolo qualcosa d'incomprensibile anche a me, ma per mia fortuna Eliot scende dal letto. Sorrido e assumendo posizioni da contorsionista, mi sgranchisco le ossa.
Apro gli occhi «Buongiorno!» Esclamo sorridendo a Eliot. Stamani mi sento bene, felice e calma. Sorrido malinconica al ricordo di tutte le volte che quotidianamente, mi nonna materna, mi ripeteva di stare calma perché altrimenti non sarei mai riuscita a stare bene. Quanto mi manca. Aveva un bellissimo rapporto, sembravamo due sorelle che ridevano, facevano progetti sul futuro, che confessano qualche segreto e che litigavano, per fare pace subito dopo. Eliot si avvicina al letto, poggiando il suo muso sul materasso e io girandomi di lato, inizio ad accarezzargli la testolina. Poi i miei occhi individuano il mio telefono sul comodino, così lo afferro. Mi perdo a guardare le icone e a chiedermi, se ora avessi la possibilità di collegarmi a una rete internet, se io trovassi notifiche di messaggi o chiamate. Mi decido alla fine di aprire la galleria e mi perdo a osservare una foto in particolare, che ritrae me con mio cugino. Ci separano otto anni, ero piccola quando lui è entrato a far parte della mia vita, inizialmente è stato difficile abituarmi a lui, dopo anni in cui ero abituata a stare da sola con mia nonna, ma gli ho sempre voluto bene. A ogni anno che passava, avevo paura che crescendo non mi potesse voler bene come io ne volevo a lui. I momenti belli trascorsi insieme ne sono stati tanti ma anche i momenti in cui iniziavamo lunghe e profonde discussioni. Eravamo diversi, io credevo in determinati valori e lui non riusciva a capirli. Ho cercato in ogni modo di fargli capire quanto sia difficile accettarsi o accettare la propria vita, ho cercato di fargli capire che deve ringraziare anche per quel poco che ha, perché non ci è tutto dovuto. Ho provato a insegnargli il valore dei soldi, ma ogni qual volta lui pronunciava un'assurdità e io iniziavo una discussione, pacifica, a volte con urla e pianti di tristezza o di rabbia, per fargli capire che ciò che aveva detto non era una cosa sensata. Ma poi ho capito che avrei potuto continuare a urlare, a far andare via la voce, a piangere perché anch'io da piccola sognavo tante cose, ma lui non avrebbe mai capito, se non sbagliando. Dal canto mio, volevo solo evitargli ulteriori sofferenze, e anche se ero più grandi di lui, di otto anni, avevo vissuto più esperienza. Gli volevo evitare di sentirsi vuoto dentro, come mi sono sentita io. Gli volevo far capire l'importanza di sognare per evadere momentaneamente dalla realtà che ci circonda. Tutto quello che ho fatto, l'ho fatto perché io amo vedere le persone a cui tengo felici, e per lui volevo solo che fosse felice. Accarezzo con il pollice il suo volto sorridente nella foto, e spero che adesso, in questi due anni, lui sia stato bene e che magari abbia capito i miei consigli. Sospiro e nuovamente la malinconia inizia a prendere il sopravvento, ma questa volta non voglio lasciarla vincere. Eliot salta sul letto con un balzo e mi osserva con la testa inclinata, scodinzolando la sua coda nera, con la punta bianca. Sorrido dolcemente a Eliot, che inconsapevolmente mi mette di buon umore «Vuoi fare colazione, vero?» La coda oscilla maggiormente e io mi alzo a sedere, con le gambe che penzolano dal letto, troppo alto. «Eliot, ho un problema, tutti i miei abiti sono da lavare...» sospiro passando una mano tra i miei capelli completamente scompigliati. Eliot mi guarda e istintivamente alzo la testa verso il libro, nel quale ho risposto la lettera di Meredith. «Andiamo in soffitta?» Mi alzo dal letto e Eliot mi segue. Nel corridoio volto a sinistra, passando davanti alla camera di Meredith che mi strappa un altro sorriso, prima di arrivare sotto la soffitta. Tiro la corda che penzola dal soffitto e la scala fuoriesce dalla botola. Silenziosamente io ed Eliot saliamo la scala e mi ritrovo nel piccolo mondo di Meredith. Subito i miei occhi catturano il telo blu, dietro al cavalletto, sotto il quale, si trovano le scatole da dare a Nolan. I miei occhi si spostano poi su un piccolo armadio, che apro con mani tremanti. Nonostante le sue piccole misure, è stracolmo di abiti, e sul fondo ci sono anche quattro piccoli cassetti. Accarezzo delicatamente i vestiti e le giacche penzolanti, e decido di pescare un vestito a occhi chiusi. Prendo un vestito con le maniche a sbuffo, il corpetto stretto e con uno scollo lineare, e una gonna a ruota, che arriva quasi al ginocchio. Il vestito è bianco con la stampa di un intreccio di rami e fiori gialli, molto chiari. Sorrido e mi abbasso per aprire uno dei cassetti, per la precisione quello in basso a destra, nel quale ci sono quattro scatole, prendo la seconda e sorrido nell'aprire. Tanti orecchini entrano nella mia visuale, ne afferro un paio a cerchi spessi e color oro. Guardo ciò che ho fra le mani e sorrido. «Eliot, io sono pronta ho tutto ciò che mi occorre.» Guardo attentamente l'ambiente circostante, alla ricerca di Eliot, ma un rumore mi fa sobbalzare. Eliot esce da dietro un ammasso di tele, con una di esse in bocca. Si avvicina a me e io prontamente afferro la tela, sorridendo con le lacrime agli occhi. Non avevo mai visto questo dipinto, né il momento in cui Meredith l'ha dipinto. Accarezzo i dettagli e la pittura asciutta ma ruvida, mi accarezza i polpastrelli. Meredith ha dipinto il momento esatto in cui io sorridevo perché il cielo assumeva tante sfaccettature di colori. Ovvero l'attimo prima che iniziasse a intravedersi il blu. Ci siamo io ed Eliot sotto l'albero di mele, io indosso gli auricolari persa nelle poche canzoni che avevo scaricato da internet, che accarezzo il busto bianco di Eliot, che ha la sua testa sul mio grembo. Respiro profondamente e le mie narici vengono inebriate dal profumo di Meredith, profumo che prima non sentivo. Mi avvicino alle altre tele, annusandole e quello che sento è solo l'odore dei colori, mentre questa fra le mani, profuma tanto di lei. Così il mio sorriso diventa ancora più ampio «Lei voleva che noi la troviamo, o meglio, che tu la trovavi!» Inginocchio davanti a Eliot accarezzando la sua testolina, forse troppo grande per essere definita tale, abbracciandolo subito dopo. Dopo minuti in cui ci lasciamo andare alle effusioni, scendiamo giù chiudendo la botola, anche se a fatica. Lascio il quadro su uno dei ripiani che ho al muro, vuoto, e dopo aver dato da mangiare a Eliot, mi reco in bagno. Mi guardo allo specchio. Sul mio volto c'è un sorriso che non vedevo da tanto tempo, gli occhi non sono più spenti e il cuore ha ripreso a battere normalmente, così come l'aria a entrare nei miei polmoni. Guardo i miei capelli, ormai nuovamente lunghi e sorrido, ho sempre amato i miei capelli. Mi lavo la faccia, i denti e dopo averli pettinati li lego in una treccia lunga. Indosso il vestito e sotto di esso le mie amata converse.
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Aiutami a volare
Romance[completa] Per Mirea Huber e Nolan Beckham la vita era un susseguirsi di istanti. L'istante, quella frazione minima di tempo, in cui è possibile fare qualsiasi cosa si voglia come ritornare a vivere, imparare ad amare ma soprattutto amare se stessi...