23. Sei bella da togliere il fiato

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Con ancora il sorriso di ieri sera sul volto mi immergo nelle parole delle canzoni cantandole come se fossero state scritte per me. Urlo a squarciagola il ritornello esibendomi davanti a Eliot in un'esibizione canore che per poco non rompe i vetri dell'intera casa, mentre pulisco il salone rovistando fra i giradischi e nella radio esce una canzone che non posso non alzare il volume il più possibile. Chiudo la mano a pugno fingendo che sia un microfono e salgo sul tavolo cantandola con un tono di voce ancora più forte mentre sento degli occhi su di me e lentamente nonostante le vertigini mi giro verso Nolan che appoggiato con una spalla alla colonna mi guarda sorridendo e mordendosi il labbro inferiore, divertito da ciò che sta vedendo mentre scioglie le braccia avvicinandosi a me e facendo toccare nuovamente i miei piedi per terra, sollevandomi come se fossi leggera come una piuma.

«Quindi preferisci restare sola?» Porta una ciocca di capelli dietro il mio orecchio.

«Per tua sfortuna non riesco più a stare senza vedere la tua bruttissima faccia!» Sorrido mordendomi il labbro il labbro inferiore mentre i nostri corpi si toccano e cercano.

«Bruttissima faccia?» Inclina la testa di lato sostenendo il mio sguardo e sfidandomi a continuare il gioco da me iniziato.

«Si!» Inclino anch'io la testa al lato opposto alla sua e porto le mie mani sul suo volto, accarezzando con i pollici il contorno degli occhi. «Hai degli occhi azzurri, un azzurro in cui amo perdermi a nuotare o a volare; degli occhi che mi guardano in un modo che fa crescere dentro di me una paura devastante ma che mi fa sentire bella e soprattutto protetta; degli occhi che mi leggono dentro, scavalcano il mio corpo e mi entrano nell'anima leggendo il mio cuore come se fosse la favola più semplice da leggere ai bambini ma anche la più complicata da spiegare.» Fisso i suoi occhi mentre le mie labbra si muovono lentamente e cerco di non dar peso ai brividi che percorrono il mio corpo e ai suoi occhi che vagano su tutto il mio volto mentre accarezza la base della mia schiena quasi sopra le natiche. Sorrido e inclinando la testa dall'altro lato traccio con i miei pollici il contorno delle sue labbra. «Hai delle labbra, che mai avrei pensato di dire a qualcuno, che avrei voluto che divorassero le mie e poi la leggera barba che contorna di tanto in tanto il tuo volto ti rende ancora più maledettamente brutto!» Sorrido rialzando lentamente i miei occhi nei suoi e non riesco a non mordere il mio labbro inferiore dove si poggiano i suoi occhi facendo cessare l'arrivo dell'aria ai miei polmoni. Prende un profondo respiro ingoiando a fatica e poggia le sue labbra sulla mia fronte spingendomi ancora di più contro il suo corpo, stringendomi a esso come se io potessi scappare da un momento all'altro.

«Mirea...» sussurra il mio nome come se fosse una supplica lasciando un bacio sui miei capelli mentre la mia testa e stretta al suo petto. «Non posso e non voglio perderti.» Dopo queste semplici parole si allontana da me uscendo fuori, probabilmente per raggiungere George che poche ore fa ha chiesto di raggiungerlo al villaggio. Sorrido alle sue parole perché malgrado possano essere percepite in un modo diverso, io ho le ho comprese come lui ha compreso la mia paura ma soprattutto il mio non aver ancora lasciato alle spalle il mio passato.

Entro in bagno e mi soffermo a guardare il mio riflesso. Le gote arrossate, gli occhi lucidi per la felicità e le labbra leggermente gonfie a causa dei miei continui morsi. Porto un dito alle mie labbra accarezzandone il labbro inferiore e il sorriso che le dipinge fa scendere alcune lacrime solitarie sul mio volto, lacrime che ora sono lacrime di gioia. Nei miei anni ho sempre pianto, ho sempre usato le lacrime come valvola di sfogo, ho pianto: per la paura di qualsiasi tipo, per la stanchezza sia mentale che fisica e per la rabbia che mi annebbiava la mente e non riusciva a farmi essere lucida. Una rabbia che spesso mi portava a dire o fare cose delle quali poi mi pentivo subito dopo; una rabbia che mi bruciava l'anima, che mi faceva distruggere tutto ciò che di più caro avevo per provare dolore e non rabbia, sentimento che ho sempre odiato. Una rabbia che mi portava ad essere fuori di me, ma non ho mai pianto per gioia. Ogni qualvolta accadeva qualcosa di bello nella mia vita io iniziavo a pensare subito a quello che sarebbe accaduto dopo non godendomi tale felicità.

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