11. Un giorno bellissimo

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Nolan

Mi aggiro nella cucina alla ricerca di qualcosa per prepara una piccola colazione. Sospiro voltandomi, per qualche secondo, verso la porta d'ingresso. Appena varcata quella porta due giorni fa, una strana sensazione si impadronì del mio corpo, che si sentiva in un ambiente in cui poteva sentirsi protetto. Il mio corpo si riscaldava e la mia anima trovava pace, ma ancora non immaginavo nulla di quello che avrei scoperto la sera stessa. Ho trascorso un giorno in cui ho ripercorso tutto quello che ha provato mia madre e ho trascorso un giorno, con almeno una delle due colonne portanti nella vita di chiunque, con almeno uno dei miei genitori. Sorrido finalmente felice di ricevere risposte a tutte quelle domande che ponevo di continuo ai miei nonni paterni, che mi rispondevano semplicemente con un: ora non è il momento adatto per parlare di questo, ora non possiamo rispondere alle tue domande. Eliot mi riporta con la testa in cucina, quella cucina in cui mia madre ha preparato i suoi piatti per anni e che io mi sono sempre chiesto come fossero, quando vedevo nei film le scene tra madre e figlio che consumavano un pasto. Sorrido al muso rivolto verso la ciotola di Eliot, abbassandomi nel mobile dedicato a lui per prendere il suo cibo «Eliot, preferisci il tacchino o il pollo?» Mi volto verso di lui con entrambe le buste e lui annusa maggiormente nella direzione dei croccantini al pollo «Che pollo sia!» Poggio l'altra busta sul ripiano, mentre verso i croccantini scelti da Eliot nella sua ciotola, posando successivamente entrambe le buste.

«Anche tu ora inizia a parlare con lui?» Mi volto di scatto in direzione della voce, sorridendo a Mirea che ricambia timidamente il mio sorriso.

«Ho solo chiesto cosa preferiva mangiare.» Apro la credenza dove si trovano i piatti e i bicchieri, poggiandoli delicatamente sulla penisola. «Da quanto tempo eri lì?» Chiedo spostando di nuovo i miei occhi sulla sua figura, ancora accanto alla penisola.

«Da quanto ti sei perso nei tuoi pensieri, guardando la porta.» Afferma sorridendo dolcemente. Annuisco e prendo una padella per cucinare dell'uovo «A cosa pensavi?» Apro due uovo nella padella, che inizia a cuocerle e io a muoverle con una forchetta, come faceva sempre Alma, la signora che mi ha cresciuto per volontà dei miei nonni.

«A quando sono arrivato qui» le uova iniziano a colorirsi uniformemente «Sai, quando sono entrato da quella porta mi sono sentito bene, mi sentivo come se questa fosse casa mia, in qualche modo...» lascio la frase in sospeso, lasciando cadere le uova strapazzate nel piatto. Poi prendo dal portapane il pane e lo taglio a fette, mentre sento i suoi occhi sulla mia schiena «Non sapevo cosa mi aspettasse, ma dentro di me provavo solo sensazioni mai provate prima, che mi scaldavano il cuore.» Sorrido portando anche il pane a tavola, insieme al cartone di succo di frutta all'arancia. Inizio a dividere le uova in due piatti diversi e a riempire entrambi i bicchieri invitandola a sedere con lo sguardo. Mio padre aveva ragione è come se avesse paura di fare qualcosa che possa infastidire chi ha di fronte ed è davvero unica quando arrossisce in quel modo dolce che fa aumentare dentro di me la voglia di darle fastidio. Si siede sullo sgabello accanto al mio mentre Eliot si posiziono tra entrambi, sperando di ricevere altro da mangiare. Inizio a mangiare mentre lei beve lentamente il bicchiere di succo di frutta. «Non mangi le uova?» Le indico con la mia forchetta, mentre lei scuote la testa e alcune ciocche di capelli le ricadono davanti al volto.

«Non mi piacciono le uova.» Afferma voltandosi verso di me, che la guardo con gli occhi spalancati dallo stupore. Non credevo che potesse esistere qualcuno a cui non piacessero le uova. Gli porto dietro l'orecchio le ciocche di capelli caduti davanti al volto, per guardarla meglio e capire se si stia prendendo gioco di me.

«Non ci credo, è una cosa alquanto impossibile!» Sorride timidamente mentre le gote gli si tingono di una leggera sfumatura di rosso vivo.

«In realtà qualche volta le ho provate a mangiare, ma non riuscivo a finire il piatto, mi venivano i conati di vomito.» Sorrido beffardamente e prendo la sua forchetta, la riempio con l'uovo preso dal suo piatto, avvicinandola alle sue labbra mentre continua a scuotere la testa disgustata.

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