Continuo a giocare con Eliot, seduta a terra con le spalle contro uno dei mobili della cucina. Se mi sarei seduta su uno degli sgabelli della penisola, i miei occhi sarebbero stati puntati nella direzione del salone, e non era mia intenzione essere di troppo, in una situazione del genere.
Non so quanto tempo sia passato, ma guardando il cielo ormai completamente blu, credo sia passata almeno un'ora. Sospiro e inizio a fare strane facce a Eliot, che mi guarda e probabilmente mi crede una stupida. Ridacchio quando io inclino la testa di lato e anche lui compie lo stesso gesto, così afferro la sua testa tra le mani e inizio a scuoterla, mentre il gli faccio la linguaccia. Infondo mi diverto con poco, anche dando fastidio a questo povero cane, che ricambia molto volentieri quando deve mangiare, fare i bisogni o io sto dormendo. Gli lascio la testa e lo accarezzo «Torturi sempre così tanto questo povero cane?» Sobbalzo al suono della sua voce.
«Come tu, oggi ti stai divertendo a torturare me, una povera fanciulla indifesa!» Alla mia esclamazione scoppia a ridere. Una risata contagiosa che mi strappa un sorriso. Non so dove sia George, ma lui mi sembra che stia bene.
«Quindi tu saresti una povera fanciulla indifesa?» Inarca un sopracciglio e io mi alzo, ripulendo i pantaloni «Non eri un'assassina, che voleva uccidermi dopo averlo avvelenato e rubarmi il cuore?» Mi avvicino a lui, alzando la testa e intrecciando i miei occhi ai suoi cristalli.
«Potrei essere entrambe le cose, in fondo le persone che sembrano essere più deboli e indifese, sono quelle più forti e capaci di tutto» sorrido con finta cattiveria e mi reco in salone, alla ricerca di George, che non riesco a vedere «Dov'è George?» Mi volto verso Nolan alle mie spalle che abbassa la testa.
«Dopo avermi comunicato tutto quello che dovevo sapere, ha deciso di andare via, per lasciarmi il mio spazio per pensare sulle comunicazioni che mi ha rivelato» sospira riportando i suoi occhi nei miei, che adesso non presentano lo stesso luccichio che avevano quando si divertiva a prendermi in giro. «Prima di andare, mi ha comunicato un'ultima cosa, ovvero che tu eri a conoscenza di dove si trovavano le cose, che Meredith voleva che io ricevessi» annuisco e raggiungo le scatole in corridoi.
«Tua madre mi ha chiesto di aspettare il tuo arrivo e consegnarti queste scatole, io non conosco il loro contenuto, ma conoscendo Meredith, credo che all'interno troverai solo cose belle e che ti faranno capire chi era» sorrido e spingo le scatole, poste l'una sopra l'altra, verso il salone.
«Tua madre?» Inarca un sopracciglio e io non riesco a comprendere il perché della domanda.
«Posso comprendere che tu non la voglia chiamare così, almeno non in questo momento, non so nulla sulla tua vita o almeno, so solo quello che ti avrà detto George, ma d'altronde è tua madre» mi giro di spalle per entrare nel salone.
«Non riesco a capire... tu non sei la figlia di Meredith?» Al suono di quella domanda mi volto di scatto verso di lui.
«Cosa? No, non sono la figlia di Meredith!» Sorrido e aspetto che lui entri nel salone, ma continua ad alternare lo sguardo da me alle scatole.
«Continuo a non capire, perché se non sei sua figlia sei in questa casa, sai tutto questo e lei ti ha lasciato casa sua?» Finalmente varca l'arco ed entra nel salone.
«Adesso rispondo a tutte le tue domande...» lascio la frase in sospeso sedendomi e osservando il divano in cui io e Meredith ci perdevamo a raccontare le nostre letture attuali. Sorrido malinconica e sento il suo sguardo su di me, mentre sposta la sedia sedendosi dall'altro lato della tavola di fronte a me. Prendo un profondo respiro e inizio a parlare, mi manca davvero tanto. «Due anni fa, Meredith, a causa di Eliot, si è accorta della mia presenza in un bar per notturni e mi ha invitato a stare a casa sua. Posso dire senza esitazione che Meredith mi ha salvato la vita, non mi ha solo accolto il questa casa, ma mi ha ridato un briciolo di forza per cercare di riordinare i miei pensieri. Io non sapevo che lei fosse malata, all'inizio della settimana George mi ha consegnato una lettera che mi ha scritto Meredith in cui mi parlava della sua malattia e mi chiedeva di fare quello che lei non è riuscita a fare» sposto lo sguardo verso di lui, che non smette di guardarmi, con le braccia stese sul tavolo e le mani intrecciate. Abbasso lo sguardo sul tavolo, accavallando le gambe e accarezzando Eliot con il piede che penzola. «La prima cosa che mi ha chiesto era di darti le scatole, non appena tu saresti arrivato qui. Successivamente mi ha detto dove potevo trovare una scatola, nella quale c'erano i ricordi dell'amore tra lei e George, tuo padre » alzo timidamente lo sguardo verso di lui « Per quanto riguarda la casa, se per te è un problema che la tenga io, posso prendere le poche cose che ho e andare via » sorrido completamente imbarazzata. Imbarazzata non solo per il suo sguardo su di me, che inizia a essere pesante perché non riesco a leggerci dentro, ma perché mi sento un'estranea in una casa non mia.
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Aiutami a volare
Romance[completa] Per Mirea Huber e Nolan Beckham la vita era un susseguirsi di istanti. L'istante, quella frazione minima di tempo, in cui è possibile fare qualsiasi cosa si voglia come ritornare a vivere, imparare ad amare ma soprattutto amare se stessi...