Nolan
Sono passati solo due giorni da quando mi sono svegliato aspettando che tornasse a casa e rivivere quello che abbiamo vissuto la sera precedente; sono due giorni che mi siedo sotto l'albero di mele al tramonto aspettando di vederla bussare al portico di casa e coglierla di soppiatto alle spalle; sono due giorni che sento la sua voce che mi sussurra di aspettarla credendo che io stessi dormendo. Strappo dal terreno un filo d'erba troppo lungo e mi decido a tornare nella piccola stalla per terminare di costruire la piccola altalena, iniziata a costruire ieri notte a causa della mia incapacità di prendere sonno senza udire la sua voce, vedere i suoi occhi e il suo viso, e respirare il suo profumo.
Eliot mi segue e aspetta che io accenda la radio che ho portato qui e mi immerga nelle canzoni per sedermi ad osservarmi mentre levigo l'asse di legno, prima di inserire i moschettoni alle due estremità laterali prima di agganciare loro la catena, grazie alla quale oscillerà.
«Ti ho portato quello che mi hai chiesto.» Alzo la testa aggiustandomi gli occhiali da lavoro sul naso e guardo mio padre che stringe tra le mani una busta bianca molto spessa.
«Grazie!» Gli sorrido e termino di levigare l'ultimo angolo sporgente prima di togliere i guanti e gli occhiali. Mi avvicino a lui che immediatamente mi stringe in un abbraccio dandomi leggere pacche sulla spalla. «Papà sto bene, io so che lei tornerà da me.» Sorrido ricambiando il suo abbraccio e afferrando la busta dalle sue mani.
«Sai, sono trascorsi solo due giorni ma a me manca il suo sorriso e il suo essere a tratti logorroica.» Scoppio a ridere annuendo in accordo con le sue parole. Per quanto potesse essere una ragazza timida e introversa, se riusciva a fidarsi di te diventavi il suo diario segreto e non smetteva di parlare e raccontare tutto quelle che le accadeva o le passava per la mente.
«Puoi aiutarmi a fissare l'altalena a uno dei rami dell'albero?» Indico con un dito, l'asse in legno con due catene laterali, alle mie spalle e lui annuisce. Metto fine al riprodursi dell'ennesima canzone che ascolto da solo in questi giorni, prendendo gli attrezzi e le due fascette tonde con i moschettoni uscendo fuori dalla stalla chiudendo la porta alle mie spalle. Appoggio un braccio sulla spalla di mio padre e lui compie il mio stesso gesto e sembriamo quasi due operai che iniziano il loro turno in miniera, scoppiando a ridere per il mio stesso pensiero. Adagio la busta sul tavolo esterno e raggiungiamo l'albero con mio padre, che tiene ferma la scala per non farla oscillare, mentre io fisso le fascette e poi aggancio ai moschettoni l'altra estremità delle due catene. «Ti piace?» Scendo dalla scala guardando la semplice e piccola altalena, che inizia ad oscillare da sola a causa del venticello che tira.
«A lei piacerà, soprattutto se può guardare il tramonto mentre volteggia insieme all'aria.» Mi volto verso di lui annuendo con le labbra che si intrecciano in un piccolo sorriso. Vorrei prendere il primo treno è raggiungerla ma sono consapevole che se la sua scelta è stata questa, vuole risolvere tutto da sola per non sentirsi un peso quindi resterò qui ad aspettare che lei ritorni tra le mie braccia. «Andiamo dentro? Questo vecchio ha una certa fame!» Mi sorride dolcemente ed io annuisco alla sua richiesta, afferrando la busta dal tavolo e lasciando sopra di esso gli attrezzi da riportare nella stalla.
«Cucini tu?» Inarco un sopracciglio in segno di sfida e lui annuisce accettandola. Mi allontano da lui soffermandomi a guardare la cucina con un dolce sorriso sulle labbra al ricordo della prima volta che ho cucinato per lei quando ci siamo incontrati; al ricordo di quando ci siamo sporcati a vicenda e quando l'ho sfidata a mangiare l'uovo strapazzato. Continuo ad indietreggiare e i miei occhi si posano sul salone dove la prima volta insieme sul divano, l'abbiamo trascorsa nel viaggio dei ricordi di mia madre; si posano su una riproduzione di uno dei dipinti dei girasoli di Vincent Van Gogh e credo che allora ho capito quando non fosse solo una povera fanciulla che mi era caduta magicamente tra le braccia e il mio cuore inizia a battere all'impazzata quando, come la proiezione di un film, davanti ai miei occhi mi immagino noi due che parliamo e poi lei che si addormenta mentre io fingo di guardare il film da lei scelto, un film che non ho guardato perché intento a guardare il suo volto rilassato e a sentire pian piano dentro di me sensazioni che mi mandavano in delirio. Passo davanti alla sua camera e sorrido mordendomi il labbro inferiore. In questa camera abbiamo trascorso la nostra prima notte insieme, mi ha raccontato dei problemi con il suo fisico e io gli ho raccontato della mia passione per le foto che lentamente stava morendo dentro di me. Poso la mano sulla manopola della sua porta e la apro con il sorriso che diventa più ampio nel vedere i ricordi che lei ha di mia madre al centro del suo letto, un gesto per farmi comprendere che sarebbe ritornata perché sono certo che per nessuna ragione abbandonerebbe il ricordo che ha di lei. Chiudo la porta e continuo a girare su me stesso con i nostri ricordi che si susseguono nella mia mente e il cuore che batte, forte. « Piccola Mirea, questa casa ha la tua essenza. Ovunque io mi volti ricordo gli istanti trascorsi con te; sento i tuoi occhi sul mio corpo; sento la tua amata musica anche quando le radio sono spente e i vinili non girano sopra al giradischi; sento il tuo profumo impresso nell'aria e quando mordo le mie labbra sento il sapore delle tue in quel bacio che ho atteso impazientemente e con tutto me stesso. » Sussurro come se lei potesse sentirmi al di là di una di queste porte prima di rintanarmi in una stanza che non sapevo essere vuota. Entro dentro di essa sorridendo alla vista di alcune delle foto che ho affisso alle pareti bianche e con l'intento di riempirle tutte con le foto che raccontano i momenti migliori. Apro la busta che stringo ancora tra le mani e cerco i punti in cui posizionare le foto fresche di stampa, guardando infine tutte le foto l'una accanto all'altra.
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Aiutami a volare
Romance[completa] Per Mirea Huber e Nolan Beckham la vita era un susseguirsi di istanti. L'istante, quella frazione minima di tempo, in cui è possibile fare qualsiasi cosa si voglia come ritornare a vivere, imparare ad amare ma soprattutto amare se stessi...