18. Le barriere proteggono sempre

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-Riddle!- alzai di poco il mio tono di voce per richiamare il riccio poco distante da me.

Alzò con sufficienza lo sguardo su di me, come se non avesse nemmeno notato la mia presenza.
Non volevo dargli la soddisfazione di aver ammesso di necessitare di lui. Di una persona così subdola e manipolatrice. Non volevo partecipare, eppure ci ero dentro fino al collo e non potevo più uscirne. Dovevo giocare e partecipare a questo insulso e superficiale ballo a cui l'intera scuola, o almeno pareva, sembrava essere eccitata.

Era incredibile come un ballo potesse scatenare tale gioia, ma forse era proprio questo. Un insulso ballo rendeva, per un momento dell'anno, tutto magico. Nessuno apparteneva più ai Serpeverde, ai Grifondoro, ai Tassorosso o ai Corvonero. Eravamo tutti uguali. Tutti uniti, per una volta.
Avevamo tutti abiti eleganti e sfarzosi dei più variopinti colori.

-Jonson- rispose dopo un po' vedendomi incontro.

-Ho bisogno di un cavaliere. Obblighi dall'alto- dissi alzando gli occhi al cielo.

-E da me cosa vorresti avere?- chiese iniziando a ghignare.

-Un ballo. Solo quello per aprire le danze e poi ognuno per le proprie strade-

-Va bene- sapevo che avrebbe contrattato la cosa -però, desidero qualcosa in cambio-

-Ovvero. Muoviti Riddle dobbiamo andare- sbuffai.

Si accostò al mio orecchio e con voce roca e calda da mettermi i brividi sussurrò.

-Una notte di sesso-  e subito dopo mi prese il braccio trascinandomi dietro Diggory.

Le porte della Sala Grande si aprirono facendo giungere alle mie orecchie una musica melodiosa e dolce.
Varcammo la soia e tutti gli occhi si puntarono su di noi. Potei notare le mie amiche e mia sorella fissarmi con gli occhi sgranati. Così come Draco, Blaise, James e perfino Tom. Regulus mi guardava con uno sguardo simile alla compassione, non lo capivo, non capivo perché compatirmi.
Altre ragazze mi guardavano invidiose. Una ragazza come me con uno dei figli del Signore Oscuro. Comico. Già, se solo fosse visto dall'esterno e non vissuto in prima persona come lo stavo facendo io.

La musica era solo un fastidioso sussurro che giungeva strisciando nei miei timpani. Si faceva spazio nei meandri del mio cervello, cercando di sostituire la monotona e ripetitiva frase detta dal ragazzo qualche istante prima. Non facevo che pensare a questo. A quanto, in realtà, io ne avessi paura. Non sarebbe stato semplice. Il mio ego e il mio orgoglio, però, erano già stati incrinati e piegati all'umiliazione di un suo appoggio in questo ballo. Non gli avrei permesso di farsi beffe di me, di nuovo.
Dopo tutto ciò che mi aveva fatto nella mia mente viaggiavano ancora quelle immagini. Le immagini di quella notte in infermeria. Dove mi tirò uno schiaffo o un pugno. O quando parlò in modo così liberatorio pensando dormissi.
Anche quella mattina sulla Torre di Astronomia si faceva spazio nella mia mente. Quando sono corsa via. Ricordandomi dell'incubo che mi aveva inflitto semplicemente toccandomi i capelli. Un gesto così dolce e pieno d'affetto, sempre che quella fosse la sua intenzione, si era rivelato così letale per il mio sonno. Così distruttivo per il mio cuore ancora fragile.
Sarei potuta ricadere nel mio periodo buio. Nel periodo pieno delle mie ombre. Di nuovo.  Non lo avrei permesso, non era il momento di farle rinsavire. Di fargli toccare di nuovo la luce e di bearle d'aria fresca. Dovevano rimanere celate e incatenate della parte più remota della mia anima. In quell'angolino colmo di polvere, ragnatele e muffa. In cuor mio però, sapevo che sarebbero tornare. Un giorno sarebbero risalite, nascondendo e incantando poi me nell'angolino dove avevo lasciato marcire loro.
Presto o tardi lo avrebbero fatto e non saprei dire se fossi pronta o meno a tutto questo. Probabilmente no, ma non potevo tirarmi indietro. Per quanto lo volessi sentivo quelle salde barriere che avevo edificato iniziare a sgretolarsi. Sentivo le ombre graffiare i mattoni, prenderli a calci e strattonare le catene a cui erano legate in un vano tentativo di spezzarle. E io sapevo che ci sarebbero riuscite. Ne ero consapevole, ma le lasciavo fare. Sapevo che una volta fatto, io me ne sarei stata buona. Non avrei fatto come loro, no. Avrei lasciato che loro si impossessassero di me. Le avrei lasciate nutrirsi di me e vivere al mio posto. Io sarei solamente stata l'automa che loro guidavano. Incuranti dei sentimenti degli altri o dei miei. Si, perché quando loro prendevano il sopravvento si cibavano dei miei sentimenti e delle mie emozione. Ed io non ne ottenevo che una minima parte, non di certo quella gioiosa o piacevole.

in love with both of themDove le storie prendono vita. Scoprilo ora