22. Terza prova

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Sono passati alcuni mesi da quel sogno. Se ne sono susseguiti molteplici. Sempre con gli stessi scenari, ma di Voldemort nessuna traccia. Quella casa mi sembra familiare, ma non ricordo assolutamente nulla. Ci provo e ci riprovo, ma non riesco a rammentare quando possa esserci stata. La rosa che era sbocciata in quel sogno, ora si era seccata. Ho visitato molteplici stanze e tutte mi sono familiari. Solo una stanza è rimasta ancora priva di una mia visita. Quando ci ho provato era chiusa a chiave, ma non saprei come aprirla.
Quando arrivo al cimitero, le lapidi nascondono sempre i volti. È come se io quel cimitero lo conoscessi e ci fossi già stata e non vedo i volti perché non li ricordo. Ho girato intorno a quella statua più volte per comprendere il senso di ciò che mi aveva detto il Signore Oscuro, ma è solamente una statua d'angelo con una falce. Suppongo si tratti dell'Angelo della Morte, ma non ne sono certa. Ogni volta che tentavo di toccare una delle due lapide mi risvegliavo.

La mattina della terza prova mi svegliai agitata. Volevo riportare fama ai Serpeverde in qualche modo. Non ho avuto le risposte che volevo da Silente, quando tentai di andare nel suo ufficio non c'era. Ho provato a farmi mettere in punizione, oppure con qualche scusa, ma non ottenni mai nulla. Quella mattina lo avrei incontrato per forza, non poteva non assistere alla sfida finale. Mangiai rapidamente della frutta con dell'acqua e mi diressi a indossare la stupida divisa che ci avevano dato. Noi ragazze dovevamo portare delle gonne. Mi sentivo così esposta, a lezione avevo la toga a coprirmi, ma qui le mie gambe venivano viste da tutti. Le mie cosce grosse e i polpacci marcati dalle estenuanti corse di ore e si kilometri dovuti ad allenamenti e fughe dagli sbirri nel mondo babbano.
Eravamo al centro di un prato. Alle nostre spalle il pubblico urlava i nostri nomi e invitava i propri campioni a vincere, questa avrebbe decretato la vittoria dopo anni. Un immenso labirinto si estende di fronte a noi. Emanava una brutta aura. L'obiettivo non era difficile, se non fosse per ciò che Silente ci disse ''Rischierete di perdere voi stessi, ma dovete essere forti''. Davvero d'aiuto. Il tutto per un semplice calice, o coppa che sia. La musichetta si fermò improvvisamente, saremmo partiti a breve. Prima i due ragazzi che iniziarono a correre come dannati e poi noi.
I cespugli erano spaventosi. Ti risucchiavano l'essenza vitale, la sentivi scorrere via. Per non parlare di quando si iniziavano a chiudere dietro di te e cambiavano percorso. Incontrai gli altri campioni, erano stravolti. La francese tremava come una foglia ogni volta che mi incontrava, era terrorizzata. Del resto diventavamo ciò di cui avevamo più paura di essere e lei, probabilmente, aveva paura di essere debole. Cedric sembrava uguale, ma nei suoi occhi notavo qualcosa di indecifrabile. Viktor era fuori controllo, era aggressivo e ha cercato più volte di attaccarmi, ma mi sono difesa facendogli del male, forse. Io mi sentivo uguale a sempre, solo più debole fisicamente e forse era questa la mia paura, essere meno forte degli altri. Inoltre avevo le parole di Mattheo in testa da settimane. Mi si era avvicinato di soppiatto da dietro nel bel mezzo del corridoio affolato, per non farsi notare suppongo dagli altri, e mi aveva sussurrato tra i capelli ''Solo quella persona deve avere la tua fiducia''. Non capivo a chi si riferisse, ma mi aveva confermato di essere il mittente di quello strambo bigliettino dell'ultima notte in infermeria.
Raggiunsi il centro dopo non so quanto tempo, avevo perso la cognizione dello scorrere dei minuti. Il cielo era oscurato e non mi permetteva di orientarmi. Alla mia destra sbucò Cedric. Iniziammo a correre come diavoli, i rami ci impedirono di correre facendoci ruzzolare a terra. Appena ne toccai uno sottile, questo si cristallizzò per poi esplodere in migliaia di pezzetti. Non sapevo cosa avessi appena fatto, ma in quel momento non mi importava. Feci esplodere il muro che mi stava risucchiando, liberando però anche Cedric. Davanti alla coppa ci guardammo e, con la speranza di raggiungerla per primi, la toccammo. Venimmo teletrasportati via da quel bizzarro labirinto, di sicuro al Minotauro dell'epica greca sarebbe piaciuto.
I miei scarponi neri affondarono in un terriccio umido e melmoso.

-Dove siamo?- chiese il ragazzo che mi stava accanto. La coppa dall'accesa luce azzurra era, in quel momento, quasi spenta e buttata addosso ad una roccia.

-In un cimitero- e non uno qualunque, ma quel cimitero. Quello dei miei sogni.

Iniziavo a sentire salire una sorta di ansia. Le mie ombre mi urlavano di fuggire, di allontanarmi il più possibile da quel luogo. Ero curiosa, potevo vedere le lapidi dei miei genitori. Eravamo accanto alla statua dell'angelo, i miei piedi iniziarono a muoversi in automatico. La mia camminata si trasformò in corsa, non badai alle urla del ragazzo che mi supplicava di tornare indietro. Lo sentii poco dopo correre dietro di me. Mi ero fermata alle spalle delle lapidi. Mi bastava raggirarle e li avrei visti. Una sorta di eccitazione iniziò a montarmi nel petto. Il cuore batteva rapidamente e sembrava voler uscire dalla cassa toracica. Con passo tremante le superai sotto lo sguardo dubbiosa del Tassorosso. Li vidi. I loro volti sorridenti. Mia madre dagli occhi scuri e capelli chiari. Il naso leggermente a patata e affusolato come il mio. Labbra carnose e tirate in un sorriso sincero. Mio padre aveva gli occhi chiari, ma i capelli scuri. Un naso a punta e labbra sottili. Avevo preso un po' da entrambi e ora mi sentivo completa.
I miei occhi caddero, per la prima volta, sulla data della loro morte. 19.07.1985. Io sono nata nell'ottanta. Come è possibile che io non li ricordi? Ho vissuto con loro per cinque anni. Iniziai a pormi domande su domande, ma le ombre erano nervose come noi mai. Mi alzai e impugnai la mia bacchetta, intimando al ragazzo di fare lo stesso. A passo deciso mi allontai dai miei, se pur con rimorso, e mi avvicinai alla statua fino a raggiungere la coppa. Ci eravamo presi per mano, convinti che fosse una passaporta, così da non perderci. Stava per toccarla quando un fascio di luce verde lo sfiorò di poco. I miei scattarono alla nostra destra incontrando quelli di un uomo tozzo dalle unghie lunghe e poco curate. Un grande neo marrone sporgeva dalla guancia sinistra. Occhi vuoti e capelli sporchi. Puntava la bacchetta contro Cedric per l'ennesima volta quando una voce sibillante gli sussurrò di uccidere il ragazzo. Appena un secondo fascio di luce lasciò la sua bacchetta, urlai l'incantesimo di protezione. Per farlo mi staccai da Cedric. Quando mi girai mi fissava con occhi terrorizzati e li spostava da me all'uomo.

-Scappa- il mio era un ordine. Avevo riconosciuto quella voce. Sapevo, infondo, che non mi avrebbe fatto nulla. Anche se fossi morta non avrei avuto nessuno da cui tornare.

-No!-

-Ho detto di andare via!- e così fece. Aveva capito che era il mio modo per dirgli di cercare aiuto e so che l'avrebbe fatto.

Mi girai verso l'uomo che metteva in un calderone vari ingredienti pronunciando una formula di un qualche rito strano.

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che cosa succederà ora? bella domanda non lo so nemmeno io

pubblicazione:
-lunedì
-mercoledì
-venerdì

in love with both of themDove le storie prendono vita. Scoprilo ora