𝕻𝖆𝖗𝖑𝖆𝖓𝖉𝖔 𝖈𝖔𝖎 𝖒𝖔𝖗𝖙𝖎

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"Il vero amore non è né fisico né romantico.
Il vero amore è l'accettazione di tutto ciò che è, è stato, sarà e non sarà."
[Khalil Gibran]

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La prima notte a Birmingham fu lunga e tormentata per Scarlett, non riuscì a chiudere occhio a causa dei pensieri che continuamente bussavano alla sua porta e poi non volevano più andarsene. Avevano trovato una mente maestosa in cui alloggiare a tempo indeterminato, e la proprietaria dedicava loro tutta la sua attenzione.
Ad un certo punto, in un intervallo di tempo tra le 2 di notte e le 3 e mezza, si alzò di scatto dal letto e andò ad accendersi una sigaretta. Passò il resto della nottata girando intorno al tavolino di cui la camera disponeva, alternando senso orario ed antiorario ogni 15 minuti circa. Avrebbe preferito essere in un bordello, piuttosto che continuare a sopportare il suo macchinoso ingegno. Se solo avesse voluto, l'avrebbe spento. Di fatto, il suo problema consisteva proprio nel non volerlo.

Al contrario di come poteva sembrare dall'esterno, Scarlett amava pensare e non riusciva ad avere il silenzio a ronzarle nel cervello. Odiava il vuoto, odiava l'idea di una vita senza problemi da risolvere, poiché essi erano la scintilla di cui aveva bisogno la sua motivazione per funzionare a dovere. Le complicazioni le davano uno scopo, erano pane per i suoi denti, perciò pensare non era un tormento.
Erano i soggetti protagonisti dei suoi pensieri che stimolavano l'insonnia e l'inquietudine. Erano loro il vero tormento.

Era un gelido e terribile gennaio, anno 1918. Mi trovavo a Londra, ma ero solo di passaggio senza alcuna missione all'attivo. All'ufficio militare la segretaria mi aveva consegnato con un gesto delicato e un fare gentile tre buste, tre carte da lettere. Ricordo di aver sbuffato in maniera sonora alla vista delle carte: non mi aspettavo di ricevere ben tre comunicazioni diverse lo stesso giorno. Quando mi diressi verso l'uscita con le lettere in una mano e una valigetta nell'altra, lanciai distrattamente uno sguardo alla giovane dietro la scrivania e per un attimo notai che quel viso dalla pelle candida stava mostrando compassione nei miei confronti. Cercai di non farci caso, naturalmente, ma nonostante i miei tentativi di cancellare quell'immagine, gli occhi tristi della segretaria mi accompagnarono per tutta la giornata. Mi liberai di loro solo a fine serata, quando ormai il velo di una triste pioggia avvolgeva Londra con la sua sfumatura più malinconica; dal momento in cui mi ritirai nel mio appartamento e decisi di scartare le lettere contrassegnate dal decorato simbolo della Corona d'Inghilterra.

Ad aprirle, una ad una, il mio volto iniziò a contorcersi e raggrinzirsi, a piegarsi dal terrore, man mano che le leggevo. Come se avessi trovato un cadavere in decomposizione davanti ai miei occhi iniettati di sangue e travolti dalla disperazione, indietreggiai con orrore. Cosa diavolo stavo leggendo?
L'unica cosa che mi fermò dal continuare la mia corsa verso il passato fu un mobile appoggiato al muro. Il corpo si ammutinò al suo capitano, la mente, e lei lo lasciò fare. Lasciò che lui si ribellasse, si liberasse. I bicchieri capovolti sul mobile, insieme al whiskey, finirono sul pavimento, ricreando un secondo strato sul tappeto, lasciando una scia di piccoli, aguzzi e appuntiti pezzi di vetro. I miei piedi si mossero incuranti su quei frammenti, procurandomi un dolore quasi inesistente in confronto a quello del mio cuore lacerato. Mi inginocchiai sul vetro e raccolsi le lettere. Le rilessi, mormorando ogni parola come fosse stata parte di una preghiera solitaria, pronunciata con esitazione.

Mentre gli avvisi di decesso dei due soldati miei parenti erano dovuti, anche quello di Thomas mi era inaspettatamente arrivato, nonostante io e lui non fossimo vincolati da alcun tipo di legame sanguigno. Mi accorsi ore dopo che la terza lettera mi era stata recapitata come seconda destinataria. Da South Birmingham, Polly l'aveva letta e poi l'aveva inviata all'ufficio militare scrivendoci il mio nome sopra, nella speranza che io l'avrei ricevuta in un modo o nell'altro. Sapeva che avevo scelto di arruolarmi per quel dipartimento, era stata la notizia che anni prima aveva avuto da me durante la mia prima e ultima telefonata, ma non poteva sapere se fossi entrata in servizio o meno. In più non lo aveva detto a nessun altro, erano tutti partiti per le trincee francesi. Era stato un gesto di speranza, il suo, un tentativo di rintracciarmi. E alla fine ero diventata un agente segreto, dunque la notizia mi era arrivata.
In quell'esatto momento, avevo la lettera in pugno.

𝘐𝘵𝘢𝘤𝘢 - 𝘛𝘰𝘮𝘮𝘺 𝘚𝘩𝘦𝘭𝘣𝘺Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora