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Amelìe



La sveglia era impostata alle sette. Ma come al solito, l'avevo anticipata.
Anzi, mi sono già lavata, fatto colazione con una spremuta d'arancia e preso un caffè.

Per il grande inizio, ho deciso di indossare un pantalone nero a vita alta, una camicetta azzurra e una giacca nera.
Abbino le solite decoltè e lego i capelli in una coda alta.

Altroché tagliarli, amo quando le onde oscillano oltre la schiena.

Metto solo un po' di mascara e dopo qualche spruzzata di profumo, mi avvio alla porta.
Ma mai prima di aver dato un bacio alla foto della mia splendida mamma.
«Continua a fare il tifo per me, mami.» le sorrido.

La metropoli è a un solo isolato dal mio appartamento e infatti, dopo venti minuti, arrivo alla destinazione tanto attesa.

Finalmente entro nella mia nuova struttura.
E sto letteralmente tremando.
L'ho fatta restaurare da una ditta pochi mesi fa e sono felice di vederla a lavoro ultimato.
Sistemo gli scaffali rimasti nel corridoi e inizio a chiamare i candidati per i colloqui.


Sparatemi, per favore.

Dopo sole due ore, sono già vicina alla disperazione.
Chiudo gli occhi e continuo a massaggiarmi le tempie.
Ho svolto sei colloqui e a dirla tutta, sono andati proprio di merda.

Invadenti e bramosi nell'avere quel posto.
Avrebbero fatto di tutto, compreso allacciarmi le scarpe.
Perché poi?

Lo so che è insolito e forse chiederei molto.
Ma secondo me un dipendente, in questo caso il mio, deve essere semplicemente se stesso.
Senza finzioni e senza cambiare nulla per venire incontro ai miei standard.

Desidero avere accanto delle persone di cui potermi fidare e non dei soldatini con il cervello messo all'asta.
Non "dipendenti" ma persone con cui crescere e imparare, insieme.

E soprattutto, sceglierò dei coetanei più o meno della mia età.
Nulla da dire agli over, ma ho avuto brutte esperienze nel campo e non li tollero quando più volte hanno detto «Ah la gioventù di oggi. A voi servirebbe una guida, qualcuno con esperienza che vi affianchi e che vi faccia capire come risolvere i vostri errori. Da soli non sapete nemmeno accendere un fornello»

Stronzate.

Io non ho bisogno proprio di nessuno.
Sono cresciuta da sola ed ero già autonoma fin da piccola.

Mentre continuo a torturarmi la faccia, sento bussare alla porta.
Sospiro e incrocio le dita.

Davanti a me appare una ragazza alquanto minuta, castana chiara con un caschetto corto e parecchio gonfio.
Grandi occhiali rotondi che, a stento, le coprono le guance rosee.
La vedo sistemarseli con le dita che le tremano, mentre tiene nell'altra mano un blocco di fascicoli più grandi di lei.
«Buongiorno Signorina Laurent!»

Laurent.
Forse, il cognome di mio padre, è l'unica cosa che non ho rinnegato di lui.

«S—sono Yuri Theru, ho ventiquattro anni e desidererei tanto fare esperienza nel settore letterario. Sono disposta a mettere in pratica tutto ciò che ho imparato, p—potrei fare un colloquio con lei? Ho tutta la documentazione sui miei studi e vorrei... vorrei mostrargliela.» sputa tutto d'un fiato.

Non riesco a trattenere un sorriso perché questa ragazza, oltre a farmi tenerezza, ha una vocina simile a quelle degli anime. Molto tenera.
E comunque la sua risposta, è l'unica che in tutta la mattina mi ha colpito.

Dopo averla fatta accomodare nel mio uff—
Cioè, ancora non ci credo.
Il mio.
Nuovo.
Ufficio.
Mi emoziono per l'ennesima volta.

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