𝐄𝐩𝐢𝐥𝐨𝐠𝐨.

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Quattro anni dopo.

                            


                            𝑨𝒎𝒆𝒍𝒊̀𝒆

Sorrido mentre ascolto le centomila fesserie che escono fuori dalla bocca di Haruto, al di là della porta.
«Auch! Merda...» porto alle labbra l'indice appena ferito, succhiando il rivolo di sangue che ne fuoriesce e arriccio il naso, non appena percepisco il solito gusto, vagamente metallico, in bocca «Dannazione.»

«Se le tue dita non fossero sufficienti, potrei organizzare un trenino, così a giro, ce li farai fuori a tutti.» assottiglio le palpebre, ma non riesco a trattenere uno sbuffo divertito quando vedo la testolina di Eva sbucare dal corridoio.

«Credevo fossi andato via.» dico finendo di infilare le ultime posate nella lavastoviglie. È la terza che faccio partire, non ne posso più.
«E perdermi lo show del finto Drake? Mai.» sghignazza, avvicinandosi.
Quant'è vero. Haruto assomiglia davvero tanto a quello psicopatico di Drake.

Chiudo lo sportello, premo il tasto dello start e vado a riempire i due bicchieri con il succo d'arancia.
«Rui è uscito poco fa con la piccola. Hiro e Nadine sono andati con loro al parco qui dietro.» mi informa prendendo posto sullo sgabello. Poi, alza un sopracciglio, «Deduco che non si sia reso conto del fatto che tu sei ancora in piedi.»
So benissimo dove vuole andare a parare. Ma non ho voglia né di difendermi, né di rispondergli.
Semplicemente alzo gli occhi al cielo, ignorandolo.

Prendo posto vicino a lui e gli porgo il bicchiere, ma mi trattengo dall'imprecare quando vedo che rimane immobile a fissarlo, con un'aria indignata. O meglio, schifata. «Sei proprio una Diva tu, eh.» borbotto, passandogli la bottiglia di vodka.
«Ricordati tesoruccio: se la vita non è corretta con te, allor—»
«Allora lo sarà il mio bicchiere.» concludo, scuotendo la testa.
Annuisce con orgoglio, prima di versare una quantità impressionante di alcool nel succo aranciato.

Ormai questa frase è diventata una hit nei tanti giochi che ancora organizza all'interno del Joyce.
Quel posto, per quanto possa essere strano, ad oggi mi affascina.
Sarà che saranno passati anni.
Sarà sicuramente che la prima volta in cui ci ho messo piede, era per circostanze tutt'altro che divertenti.
Ma poco meno di un anno fa, quando Rui mi ha chiesto se volevo ritornarci, ho visto tutto da un'altra prospettiva. E sì, mi sono divertita.

Eravamo rimasti, ovviamente, solo a guardare. Lì, in alto dal privé di Eva, abbiamo osservato tutto; chi ballava con trasporto o chi creava semplicemente scompiglio, aumentando l'euforia del padrone di casa.

Arrossisco al ricordo di quando mi portò nella camera in cui avevamo soggiornato, per così dire,  anni prima.
E alla domanda «Perché mi hai portata proprio qui?» la sua risposta, mentre chiudeva a chiave la porta alle sue spalle, fu: «Così ti renderai conto di ciò che volevo farti all'epoca, qui dentro.»
Bastarono quelle semplici parole a farmi accendere come un fiammifero, figuriamoci nell'atto pratico.
E sì, ora ce l'ho ben chiaro cosa aveva in mente all'epoca.

«Ti ha dato di volta il cervello per caso?» ed ecco che ci si mette anche Yuri, che entra a passo marciato facendomi prendere perfino un'accidenti.
«Cosa avrei fatto adesso?» chiedo, alquanto annoiata dalla loro premura.
Capisco tutto, la preoccupazione e ogni altra cosa. L'apprezzo anche.
Ma dopo un po', basta.

«Non dirmi che è in cucina!» sento un'altra voce che proviene dal corridoio. Haruto.
«Sì. Guardala.» Yuri fa un passo di lato, ed è lì che lo vedo. Bello più che mai, con quel viso così pulito e solare, che ti viene voglia di sorridere senza nemmeno sapere il perché.

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