𝟒𝟖

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                               𝑹𝒖𝒊

«Ma cosa pensa di spiegarle se l'avete appena sedata?» a breve bestemmio. «In quale modo crede che vi stia a sentire, eh?» sbraito allargando le braccia.

«Lei è l'ultima persona che può accusarci di qualcosa essendo lei stesso un bugiardo.» mi punta un dito contro.
Allargo le narici e stringo i pugni, combattendo contro l'incredibile voglia di marchiare il volto del Dottor ditoinculo Kim.

«Fingersi il compagno ed aver letto le cartelle cliniche private della paziente. Lo sa che è un reato?»
Ancora con questa storia?

Schiocco la lingua al palato «Sono serio quando dico di conoscere Ame-»
«Non mi interessa in quale status voi due siate Signor Kyruo. Quello che mi interessa è della privacy delle nostre pazienti e lei non è né un familiare, tanto meno il marito,» entra dentro la stanza «Chiuso il discorso.» chiude la porta, lasciandomi fuori nel corridoio con i pugni serrati.

«Fanculo!» scalcio una sedia e inizio a camminare avanti e indietro, le mani che torturano i capelli.
Se quell'imbecille di Hiro avesse tenuto a freno la lingua, a quest'ora saprei per filo e per segno cosa le sta succedendo, ma no,
Niente da fare, era più forte di lui.

Dopo aver interrotto quel momento in cui... beh, quello in cui mi stavo aprendo con lei, oltre a Yuri e gli altri due, era entrato anche Hiro insieme al Dottore, il quale mi aveva detto «Il compagno della Signorina Laurent mi può seguire in ufficio.»
E proprio nel momento in cui stavo per annuire, continuando quella scenetta inventata dal biondino, Hiro come poteva uscirsene fuori?
«Seh compagno, ma magaaari! Questo qui se non si da una svegliata nel dichiararsi, si ritroverà a mangiarsi i gomiti, mi creda Dottore»

Ovviamente i miei insulti non hanno fatto altro che infuriare il Dottor Kim, che successivamente mi ha cacciato e impedito di farle assistenza.
«Rui!»
Impreco mentalmente appena riconosco la voce del biondino.
«Che ha avuto?» mi affianca con l'affanno.
«Lo sai che esistono gli ascenso-»
«Soffro di claustrofobia,» risponde, facendo un gesto sbrigativo con la mano «Dimmi, come sta?»

Giuro che se qualcun altro mi interrompe nel giro di due minuti, dovranno ritenersi fortunati di trovarsi in un ospedale.
«Ha avuto una crisi post intervento e l'hanno dovuta sedare per via dei dolori.» dico mettendomi seduto.

La sua espressione mentre soffriva.
Serro i pugni.
Non avrei mai pensato di riprovare quella sensazione di perdita, di panico.
Il sentirsi pienamente inerme ed inutile.

«Crisi in che senso?» si acciglia prendendo posto accanto al mio.
«La ferita ha iniziato a perdere sangue e i punti sono saltati.»
«Cazzo...» allarga le palpebre.
«Sta bene.» ripeto più a me stesso che a lui.
Lo vedo annuire e accasciarsi sullo schienale.

Non so quanto tempo rimaniamo in quella posizione. Immobili.
Ognuno persi nelle sue preoccupazioni che portano il nome di una francesina.
E proprio come poche ore fa, se ripenso a ciò che le ho detto...
Strizzo gli occhi e scuoto la testa.

Era inevitabile.
Da quando ho ricevuto la chiamata di Hiro, quel sentimento che credevo di non provare più, è riemerso.
Paura.

In questi dieci anni non ho fatto altro che reprimere quel ricordo, gli occhi di Aru che perdevano vitalità tra le mie braccia, quel senso di impotenza e frustrazione che ha forgiato il mio carattere.
Mi ero promesso di non provare simpatia per nessun'altro essere vivente perché la verità è che sono solo un codardo.
Un coglione che ha scelto la via più semplice, quella del distacco.
Se non mi legherò a qualcuno, non soffrirò.
Perché era solo questo il significato di relazione per me.

𝐂𝐎𝐂𝐎𝐍𝐔𝐓Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora