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«Cosa si dovrebbe indossare per andare ad un karaoke?» mi dispero, stringendomi nell'accappatoio.

Sono appena le otto e non ho né la voglia, né la minima idea di dove andare a sbattere la testa.
«Stupido di un Haruto.» sbuffo prendendo i primi vestiti che capitano.
Dei jeans chiari e attillati, una blusa bordeaux e dei tacchi bianchi.
Guardandomi allo specchio, mi sento in imbarazzo per come questi pantaloni mettano in risalto le gambe e il sedere.
Ecco perché sono rare le volte in cui li indosso.

Coprirò il tutto con una giacchetta lunga quindi è meglio passare ai capelli.
Li appunto in tutti i modi possibili, ma stasera sono davvero ingestibili, per cui lascio le lunghe onde ricadermi libere sulla schiena.
Un filo di mascara, un rossetto nude, il solito profumo e a breve scoppierò a piangere.
Ma come ci ho pensato?

Un bel libro, un calice di vino e del sacrosanto riposo mi faceva così tanto schifo?

Una volta scesa dalla metro, noto una figura familiare scendere da un vagone poco più distante.
«Oh, merda.» aumento il passo e faccio finta di non averlo visto.

Percorrere dieci minuti di strada in compagnia di Haruto... proprio no.
Già è tanto trascorrerci l'intera serata.

Camminando tra i tanti vicoli illuminati e immersa nei pensieri, mi guardo in torno.
«Grandioso!» alzo le braccia al cielo.
Sono sicura di non aver mai visto questo negozio di fumetti e questo può significare solo una cosa: ho sbagliato strada.

Porto una mano sulla fronte e mi giro, sperando che quest'altro vialetto sia quello giusto.

Più lo attraverso e più diventa oscuro, ma in lontananza riconosco la via principale e butto fuori un sospiro di sollievo dato che è proprio lì che si trova il sushi bar.

Sento alcuni rumori provenire da dei cassonetti, mi stringo al giacchetto.

Non sono spaventata perché solitamente non ho la capacità di avvertire il pericolo.
E so bene che non è affatto una cosa positiva, ma a diciotto anni frequentai un corso di Krav Maga e un minimo di autodifesa dovrei averla acquisita.
Credo.

L'ennesimo rumore mi fa assottigliare lo sguardo infatti, poco più avanti, intravedo due sagome con delle bottiglie in mano che barcollano nella mia direzione.

Inizio a velocizzare il passo, sperando di passare inosservata mentre le risate di quei due si fanno sempre più vicine.

Manca davvero poco per terminare l'ardua missione diventare invisibile, ma niente.
Un fallimento totale.
Appena i loro occhi incontrano i miei, abbasso lo sguardo fulminando i rumorosissimi tacchi del cazzo.
Grazie tante, eh.

«Eeehi bela... dovue andiamo coshi di fretta eh?»
Sbiascicano che è una meraviglia.

Non rispondo e mi limito ad aumentare il passo, ma quando uno dei due scatta in avanti, mi ritrovo braccata.
Assumo un'espressione per niente intimorita.
Anzi, sto iniziando ad incazzarmi sul serio.

«Ooh brava. Adesso ci dici dove volevi andartene così corsa.» dice colui che l'uso della parola sembra non averlo abbandonato.

«Oh...» fingo imbarazzo, portando una ciocca di capelli dietro le orecchie «Beh, stavo andando a—»

Non faccio in tempo a finire la frase, che si ritrova piegato in due, con entrambe le mani a coppa sul naso.
Eh si bello, non credo sia mocciolo quello.

Inizio a scuotere il polso, sentendolo indolenzito a causa dell'impatto ma non faccio in tempo a girarmi che un braccio mi circonda il collo.
Mi aggrappo a quest'ultimo, provando a togliermelo di dosso.
«Puttana del cazzo! Come hai osato colpire mio fratello!» mi urla nell'orecchio e a stento riesco a trattenere un conato di vomito per il fetore che esce dalla sua bocca.

𝐂𝐎𝐂𝐎𝐍𝐔𝐓Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora