𝟓𝟕

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Muoviti.
Muoviti, ti prego.
Muoviti.
E muoviti, cazzo!

«Te l'ho detto che era meglio prendere le scale.»
«Sta zitto!» vorrei attappargli la bocca con del nastro adesivo quando usa questo tono di sufficienza, ma la verità è che sono costretta ad attappare la mia di bocca.

«Ho appena avvertito gli altri che oggi salti. Ti porto in ospedale.» dice rimettendo il telefono in tasca.
«Quello che decidi tu è irrilev— uhm!» mi accascio contro le pareti di quest'ascensore e prego tutti i santi di arrivare alla tazza del water.

Corro ad aprire il portone, corro per il corridoio e corro verso il bagno.
Sono le sette e trenta del mattino e, mai prima d'ora, avevo corso così tanto in soli dieci minuti.

Ci siamo svegliati all'alba, scomodi e intorpiditi dato che la sera prima ci eravamo addormentati sul divano.
E mi sentivo anche meglio, a dirla tutta.
Ero addirittura felice di iniziare questa settimana con il piede giusto e di lasciarmi tutto alle spalle, dato che sono a un passo dal terminare l'ultimo libro. Dovrei e vorrei dedicarmi solo a quello.
Ma appena sono scesa dall'auto, ecco che si è ripresentata la nausea.

Sciacquo la bocca e i denti, faccio anche in tempo a farmi una doccia al volo.
Sentendomi un po' meglio, scelgo quale gonna indossare, ma l'anta dell'armadio si richiude, rivelando la figura di Rui che tiene in mano un pantalone della tuta.
Che, oltretutto, non ricordavo di avere.
Noto anche una semplice maglia a maniche lunghe e un... «Cos'è quel borsone?» mi acciglio.

«Qui dentro c'è l'occorrente per il ricovero.»
«Aspetta, che?»

«Ho già preparato tutto io,» chissà perché non avevo dubbi al riguardo, «Se ti va, ho fatto anche dei pancake e una tazza di tè.» aggiunge.

Sorrido, perché mi fa davvero piacere che si preoccupi per me in questo modo.
Tanto piacere.
Ma se lo può scordare. Io non mi ricovererò per un po' di nausea.

«Sei dolce nel—»
«Col cazzo.» mi interrompe, un cipiglio disgustato gli dipinge il volto.
«Dolce?» arriccia il naso, «Non dire mai più una stronzata del genere.» e se ne va in cucina, borbottando a bassa voce.

Non ci rimango male, anzi, questo suo lato brontolone mi piace un sacco.
Un segno caratteristico che mi fa arrabbiare ma che, allo stesso tempo, me lo fa amare ancor di più.

Ma ciò non toglie il fatto che decida io per me stessa, quindi, indosso una canottiera infilata in una gonna di jeans e lo raggiungo in cucina.
Il cipiglio contrariato, me lo aspettavo quando scruta e osserva le mie gambe nude.
«Puoi infilarti anche un bikini per quanto mi riguarda, in ospedale ci andiamo lo stesso.»

Non posso che roteare gli occhi «Non ti è mai capitato di star male?» chiedo perché, cavolo, in ospedale ci si va quando si ha problemi più preoccupanti.
E non ipocondriaci.

«No.» borbotta, bevendosi il suo tè.
Seh, come no, l'indistruttibile ragazzone dagli anticorpi d'oro.

Decido di lasciar perdere e inizio a fare colazione, o almeno, mi sforzo.
Sono ancora un po' travagliata.

Il silenzio nella stanza, viene interrotto dal bip della segreteria telefonica che parte.
«Perché non rispondi? Stai bene? Dio mio, vai all'ospedale eh! Io ti richiamo tra un paio d'ore perché ora inizieremo a lavorare. Tu non preoccuparti di nulla, Tosh è già arrivato. Ma mi raccomando, chiamami tu e non quel troglodita del tuo pseudo fidanzato aka manager- borbotta- perché non credo di riuscire a guardarlo negli occhi un'altra volta. Un abbraccio!»

Alzo gli occhi dalla mia tazza per osservare il cipiglio contrariato del troglodita.
Mi viene da ridere, ma non faccio in tempo a prenderlo in giro, che parte un secondo messaggio.

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