𝟏𝟒

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                             𝑨𝒎𝒆𝒍𝒊̀𝒆


Il mattino seguente mi sveglio piuttosto pimpante.
«Bene, ora che si fa?» chiede Toshiba posando una mano sulla mia spalla.
Trovo confortante e piacevole quel gesto.
Soprattutto da uno timido e introverso come lui.

Sorrido apprezzando il fatto di vederlo più sereno e meno insicuro di sé «Credo sia meglio avvantaggiarsi con le stampe, faremo ulteriori copie con la speranza di venderne il più possibile.»
«Ancora titubante?», mi riprende Haruto «Le venderemo fino all'ultima, chiaro?» mi rassicura con un occhiolino.
Sorrido anche a lui e mi limito ad annuire.

Non faccio altro che guardare l'orologio appeso al muro.
L'idea di partecipare a quella cerimonia mi mette un'ansia logorante.

Inizio a camminare intorno alla scrivania, sistemo i vari portapenne e oggetti sparsi qua e là, per poi rimetterli nello stesso modo.
Ok, respira. Che vuoi che sia?
Ora ricontrollerò il piano settimanale per la sesta volta e poi andrò a quella maledetta cerimonia.

Salgo sopra la piccola scaletta e provo ad afferrare la cartellina nell'ultimo ripiano dello scaffale.
«Posso?» sento la voce ovattata di Haruto fuori dalla porta.
«Entra pure.» rispondo allungando il braccio e tirando fuori la lingua, come se quel gesto mi avrebbe aiutato.

«Ehi aspetta che ti aiuto!» lo vedo scattare, quasi correndo, nella mia direzione.
Peccato che ho deciso di indossare una gonna a vita alta che mi arriva al ginocchio.
E non è nemmeno stretta quindi se si fosse avvicinato di un altro mi po' avrebbe tranquillamente visto le mutandine.
Di cotone nero, non di Jigglypuff stavolta.

«No tranquillo, ho fatt-» -to schifo, dato che vedendomelo a un centimetro dal culo, sono andata nel panico, sbilanciandomi.
Riesce ad afferrarmi per i fianchi e con molta leggerezza mi aiuta ad appoggiare i piedi a terra.
«Dio...» butto fuori l'aria portando una mano al cuore.

Faccio per girarmi, almeno per porgergli un sorriso e ringraziarlo ma è lui a precedermi.
Le sue mani rimangono incollate al tessuto della gonna e sono proprio loro a voltarmi verso di lui, facendomi aderire le spalle contro lo scaffale.

Inutile dire che il sorriso fa retromarcia, lasciando spazio a una smorfia confusa.

«Grazie.» smorzo un sorriso anche quando vedo la sua espressione farsi alquanto seria.
«Non c'è di che ma la prossima volta lasciati aiutare.» parla, ma è come se con il cervello stesse da un'altra parte.
Sembra assente.

Gli occhi scrutano ogni parte del mio viso, soffermandosi il più delle volte sulle mie labbra.
«Ehm, potresti?» indico le mani che sono ancora sulla mia dannata gonna.
«Oh, sì scusami!» se ne porta una in tasca e l'altra dietro il colletto della camicia, come se quest'ultima iniziasse a stargli stretta.

Mi viene da ridere perché la mia prima impressione su di lui fu tutt'altra.
Sembrava uno dei classici ragazzi presuntuosi e abituati ad avere tutte ai suoi piedi, quei tipi che non sanno ricevere un rifiuto, altrimenti ti avrebbe preso di mira.

E invece dovevo solo imparare a conoscerlo meglio.
Sembra provare un vero e proprio interesse verso di me ma non è fastidioso anzi, sa rimanere al suo posto.

Proprio come in questo momento, che sta cercando di fare il disinvolto mentre si guarda intorno e continua a grattarsi la nuca.
«Perché sorridi?» alza un sopracciglio costringendomi a trattenere ancora di più una risata data la sua espressione imbronciata e confusa.
«Niente di importante, comunque che ti serviva?» decido di cambiare argomento.

Assottiglia leggermente gli occhi, evidentemente non gliela sto raccontando giusta e dopo aver fatto una smorfia, inizia a mostrarmi il preventivo della libreria che gli affidai poco prima.


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