𝟑𝟐

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                                  𝑹𝒖𝒊


Quella sera, ero sia sorpreso che confuso quando mi sono ritrovato Mizuki davanti al portone.

Con la falsissima scusa di portare saluti da parte di Eva, si era presentata in un cappotto beige, lungo fino alle ginocchia.
Controvoglia, la feci accomodare, e nel momento in cui richiusi la porta e mi ero girato, trovai quel tessuto a terra.
Lei, completamente nuda.

Ho serrato pugni e denti.
Mizuki sapeva l'effetto che faceva.
Fu lei a insegnarmi tutto.
Ogni piacere, ogni trasgressione.

Essendo più grande di me di qualche anno, aveva già abbastanza esperienza e sapeva molto bene come soddisfare un uomo.
E nonostante, nei primi tempi, fossi il più piccolo alla Yoshida, mi disse che fui l'unico che le feci provare certi piaceri.

Eravamo così affiatati che per quasi 9 anni, non c'era giorno in cui non ci appartavamo.
Ovunque.
Garage, auto, bagni pubblici, strade deserte, case abbandonate.
E tutto questo fino a quando non decisi di andare via.

Tra noi non c'è mai stato alcun tipo di sentimento, perché chiunque facesse parte di quella vita, aveva ben compreso la filosofia di Eva.

Ma di sicuro non le andò giù il fatto di separarsi da me.
Nemmeno Drake, che aveva preso il mio posto, arrivò a darle quelle sensazioni.
E quando finalmente, dopo lunghi mesi mi rivide, sperava di poter riprendere da dove tutto era finito.
Invece no.

Quando decido di chiudere, chiudo definitivamente.

Sentivo però, che il vero motivo per cui mi fece visita, fu un altro.
Potevo vederlo nei suoi occhi quel nome che le ronzava in testa: Amelìe.
Il fastidio, la gelosia e il voler trasgredire a quelle regole mai infrante.

«Nessun sentimento, rabbia o rancore. Vivrete per puro piacere, passione e follia. Solo questo vi farà sentire vivi»

Ma delle regole di Eva quella sera, Mizuki, le voleva trasgredite tutte.

Mai però, poteva aspettarsi il mio ennesimo rifiuto.
Freddo, distaccato e nonostante fosse nuda davanti a me, non smisi un secondo di guardarla negli occhi.

Si stupì, sorridendomi subito dopo e lasciando il mio appartamento con la consapevolezza che io ormai, non le appartenevo davvero più.

                                     🥥

Scuoto la testa, guardando il mio riflesso davanti allo specchio del bagno.
Provo a sciacquare nuovamente il viso, con la sola intenzione di scacciare via l'espressione confusa di quei due occhioni blu.

Stessi e identici occhi di quella sera, quando me la ritrovai fuori dal mio appartamento con in mano dei fottuti medicinali.

Stupore.
Ben diverso da quello di Mizuki, ma ero rimasto ugualmente stupito.
Orgogliosa com'è, era difficile immaginarsela lì fuori.
E invece si era preoccupata, arrivando a tanto.

Immaginavo che avrebbe frainteso tutta la situazione.
Il misero lenzuolo che ho lanciato a Mizuki appena avevo sentito bussare, lasciava poco all'immaginazione.
Ma lì per lì non riuscii a negarle il contrario, soprattutto per un motivo: perché avrei dovuto farlo?

E adesso, quindi, dovrebbe essermi ben chiara la ragione per cui me ne sarei uscito con quella frase poco fa, no?

«Non ci ho fatto nulla con Mizuki, Amelìe»

Quale fottuta motivazione avrei avuto per essermi sentito talmente schiacciato dal suo sguardo, da arrivare a giustificarmi?
Perché questo è stato.
Volevo farle capire che non ci avevo fatto nulla.

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