𝟐𝟕

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                                𝑨𝒎𝒆𝒍𝒊̀𝒆


«Merda, vaffanculo!»

Apro di scatto gli occhi appena lo sento imprecare.
Che diamine sta facendo quell'idiota?
Li socchiudo, cercando di mettere a fuoco.

È di spalle, accovacciato sulle ginocchia e impegnato nel dare dei piccoli ma potenti colpetti alla stampante.

Ecco cos'era quel rumore che ogni tanto mi entrava perfino nel sogno, che ormai non ricordo nemmeno più.

Mi stiracchio silenziosamente per poi alzarmi in punta di piedi.
Arrivo alle sue spalle e, abbassandomi con molta cautela al suo orecchio, «Bu!»

«Cazzo!» grida cadendo all'indietro.
Mai vista un'espressione simile prima d'ora.
Sto per morire, lo sento.
Provo a riprendere fiato ma nulla, iniziano a farmi male anche gli addominali.

E il suo sguardo completamente imbronciato, mentre si rimette in piedi, non fa altro che portarmi vicino al soffocamento.

«Che stavi facendo?» tento di dire, asciugandomi le lacrime.
Prima lo sento lanciarmi qualche macumba a bassa voce, raggiunge poi uno scatolone posizionato sopra ad una mensola, vicino alla sua piccola ma modesta libreria.

Inizio a seguirlo mentre sposta vari oggetti.
«Dove cazzo l'ho messa?» si lamenta sbuffando.
«Cosa cerchi?» sbuco con la testolina dalle sue spalle.

Ruota gli occhi.
«La mia amata tranquillità, il silenzio e infine un cacciavite a punta quadrata.»
Quanta simpatia.
«Non ti serve quello.» rispondo avviandomi verso la stampante.

Sì, è lo stesso modello della mia, quindi dovrei, mmh, togliere questo e girare la levetta rossa.
«Sta ferm-»
«Fatto!» mi rialzo strofinando le mani sulla maglia, togliendo un po di polvere.

«Cos-che cazzo hai cliccato?» allarga le braccia, facendo una strana espressione sorpresa.

Ego maschile: appena affondato.

«La smetti di essere così grezzo?» ruoto gli occhi andando verso la cucina, «Comunque conosco a memoria quella stampante, ce l'ho avuta anche io e ha lo stesso difetto.» dico sedendomi sull'isola.
«Mh.» mormora dopo un lungo silenzio.

Prende il portatile, appoggiandolo accanto a me, poi si siede sullo sgabello e infila i dannatissimi occhiali da vista che lo rendono... uno stronzo.
Uno stronzo maledettamente attraente.

«Quanti gradi ti mancano?» chiedo muovendo le gambe a penzoloni, dato che non toccano terra.
«Pochi,» continua a digitare senza degnarmi di uno sguardo.
Sbuffo.

«Oh ma andiamo. Sii più specifico!»
Chiude gli occhi e prende un lungo respiro prima di riservarmi uno sguardo pieno di astio «Un grado e tu sii più silenziosa.»
«Occhei!»

Che noia ragazzi.
Dopo tre minuti e quarantotto secondi, già non ne posso più. Li ho contati perché, appunto, non so cos'altro fare.

E sono appena le due di pomeriggio, chissà tra quanto arriverà Hiro.
«Hai fame?» chiedo continuando a muovere le gambe.
«No.» ti pareva.
Sbuffo per l'ennesima volta, passando lo sguardo per tutta la stanza.

Come fa ad essere sempre tutto così pulito?
Gli occhi finiscono nuovamente sulla libreria.
Ne ha davvero tanti.
Chissà di che genere?

«Posso dare un'occhiata ai libri?»
«No.»
«Oh, ma andiamo!»

Nessuna risposta.

Intorno a noi, regna il silenzio e ogni tanto il click del suo mouse.
Dopo un po si alza, andando verso la stampante che ha iniziato ad emettere un suono simile a quello della caffettiera.

𝐂𝐎𝐂𝐎𝐍𝐔𝐓Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora