𝟓𝟐

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«Perché...» la voce trema, come le labbra, come le mani.
«È solo per il tuo bene, Amie» sussurra continuando a deviare il mio sguardo, puntandolo solo ed esclusivamente sulle valigie ai suoi piedi.

«N-no, non è vero» inizio a scuotere la testa vigorosamente, i pugni serrati e le lacrime che rigano il viso «Non è per il mio bene e tu non puoi andartene» e in uno scatto, dettato dalla paura per ciò che immagino accadrà da qui a breve, mi avvio verso quei bagagli adagiati sull'uscio della porta, ma prima che riesco a toccarli, una mano va a posarsi con forza sulla mia spalla, facendomi voltare e incontrare gli occhi tristi, arrabbiati ma allo stesso tempo dolci, di mio nonno.
Basta un suo cenno del capo, la testa che scuote lentamente per farmi capire ciò che vuole dirmi.
Sii forte.

E no, io non voglio esserlo.
Non a undici anni.
Non quando davanti a me, l'unica persona di cui mi fidavo, sta per andarsene.

Il panico si impossessa in me quando lo vedo afferrare i manici delle valigie e raddrizzare la schiena, seguito da un lungo sospiro «N-no ti prego» la mia è l'ennesima supplica.
L'ultimo grido di speranza che spero ascolti per poi cambiare idea, per rimanere qui, con me.
Ma lui stesso, nell'ultimo periodo, mi ha insegnato che la vita è una mera traditrice, pronta a prendersi gioco di te e delle tue speranze.

Il suo volto dimagrito, di un colorito giallastro a causa dell'ittero, mi rivolge un ultimo sguardo.
Occhi arrossati e gonfi, di quella tonalità nella quale mia madre se ne innamorò a prima vista ma ad oggi così diversi, incontrano i miei.
Pari e identici ai suoi.

«A' bientôt, ma petite» la voce seria, mentre l'espressione dolce e così determinata, quasi da farmi credere che sarebbe stato per davvero un "a presto".

E poi la porta che viene chiusa, le grida impaurite che escono dalla mia gola mentre vengo rinchiusa dall'abbraccio dei miei nonni, che profuma tanto di "non sarà affatto un a presto piccola, ma tu sii forte".

Ricambio e stringo le braccia di mio nonno mentre continuo a ripetere «Non andare..» calando di una nota di volta in volta «Ti scongiuro, non andare via»

«E chi si muove.»

Spalanco le palpebre non appena sento un timbro rauco e graffiato dal sonno.

Due occhi neri, socchiusi e tremendamente allungati, sono già fissi nei miei.
La testa leggermente inclinata verso la sua spalla, dove la mia guancia è posata da chissà quanto.
Il suo braccio sotto la mia schiena, la mano che fa su e giù su tutta la colonna vertebrale, lentamente, mentre l'altra mano è appoggiata pigramente sopra al suo stomaco.

È rimasto.
Arriccio le labbra all'insù a quella constatazione, per poi chiudere gli occhi.
È rimasto sul serio.
«Incubo?» chiede, e già sento il suo sguardo puntato sul mio.
No, era semplicemente il passato.

Nego scuotendo la testa, perché tutto vorrei, tranne che ripensare a quei momenti.
Sposto la guancia dalla spalla al suo petto caldo «Sei rimasto.» dico a bassa voce, andando a circondargli il busto con un braccio.
Fa incrociare le nostre gambe mentre prende ad accarezzare anche i miei capelli.

Non mi avrebbe risposto, ma le sue carezze le interpreto come una conferma.
Una dolce, bellissima conferma che insieme a quei lenti movimenti, mi portano a sbadigliare a bocca chiusa.


Che fastidio.

Scrollo il piede, scoperto dal lenzuolo che è fuori dal letto, per poi sospirare e schiacciare l'altro lato della guancia sul cuscino.
«Mmmh!» mugugno a labbra serrate, lamentandomi quando l'ennesimo solletichio, mi fa muovere nuovamente il piede.
E adesso, che riesco a sentire un bassissimo mormorio divertito, apro annoiatamente un occhio, uscendo da quello stato di dormiveglia in cui ero sprofondata.

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