𝟑𝟕

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                                𝑨𝒎𝒆𝒍𝒊̀𝒆

«Non mi sarei mai fermato perché il mio compito è proteggere te, non il contrario»

Proteggere lui.
Si stava sacrificando, accettando il ruolo da vicepresidente solo per non addossarlo a lui.

Dio, non posso neanche immaginare come possa essersi sentito.
Responsabile, colpevol-
«No.» mi allontano dalla sua spalla per poterlo guardare dritto negli occhi.

«Se per colpa dei sensi di colpa, hai vissuto in questo modo fino ad oggi, sarà meglio per te che camb-» un dito va a posizionarsi sulle mia labbra.
«Calmati Rocky,» sorride, nonostante gli occhi non lo stiano facendo come spero «Non mi sono mai sentito responsabile delle sue scelte, fino a lì ci sono arrivato anche io.»

Rilasso le spalle, contenta e sotto un punto di vista, fiera della sua maturità.

«E allora perché?» chiedo appoggiando nuovamente le mani sopra al suo petto.
Dio mio quei pettorali...

«Sinceramente non saprei cosa rispondere,» unisce le dita dietro la mia schiena, allungando il collo contro la testata del letto, mettendo in mostra il pomo d'Adamo «Ho convissuto con la rabbia per così tanto tempo da essere diventato un'egoista.»

Già, un'egoista.
Troppe volte lo sono stata anche io.
Nonostante avessi fatto quella promessa del prendermi cura degli altri.

Poi, all'improvviso, mi ritornano in mente parecchie cose.
Lui crede di esserlo ma in realtà per me c'è sempre stato.

Certo, non nel modo più galante e premuroso che esista, anzi.
Sono arrivata a detestare lui e detestare me stessa per come venivo trattata e per come reagivo.

Ma a chi voglio prendere in giro.
Perfino in questo momento, nonostante mi ero ripromessa di non rivolgergli più la parola, mi ha stupita facendo quel passo avanti di cui ero certa che, l'orgoglio, glielo avrebbe impedito.

E invece mi ritrovo con il petto più leggero.
Con la mente più libera nonostante oggi, sia il maledetto giorno in cui morì mia madre.

Ed è paradossale perché in fin dei conti, questa sensazione di vuoto non è mai cambiata.
Mai, fino a adesso.
Perché ora non mi sento così vuota come fino a pochi minuti fa, come in questi logoranti giorni.
Ho come la dannata sensazione di essere riuscita a fare qualcosa di buono.
Di essermi avvicinata, in un modo a me sconosciuto, alla promessa che le feci.

E più guardo il ragazzo davanti a me e più, non so come, ma ne ho la conferma.
«Ora tocca a te.» dice dopo un lungo silenzio, alzando la testa per osservarmi.

Non è stato facile aprirsi, glielo leggo negli occhi. Ma gliene sono estremamente grata.

«Beh, io e te credo che in un certo senso siamo simili,» inizio a giocare con le sue dita «Oggi è... è il giorno in cui ho perso mia mamma.» osservo di sfuggita i suoi occhi, leggermente più cupi.
«Non solo lei. Anche mio padre e in qualche modo, anche me stessa.» sorrido con amarezza.

«Ho creduto che bastassero quattordici ore di volo per alleviare o eliminare quel senso di solitudine che mi ha sempre da accompagnato,» poi mi acciglio «Anzi, forse su questo non siamo simili dato che io combattevo con la solitudine, mentre tu con la tua amichetta chiamata ira.» lo vedo sorridere e abbassare gli occhi sulle mie labbra, trovandole sollevate.

«Però quello che abbiamo in comune più di tutti, è stato colui che hai citato poco fa,»
«L'egoismo.» conclude al posto mio.

Annuisco sentendo per la prima volta qualcosa di strano.
Come se in questo momento, tutte le sensazioni fossero annullate.
Non so se è dovuto dal fatto che finalmente abbiamo parlato.
Se finalmente ci siamo confrontati, svuotati, capiti. Ma è una sensazione di completezza.

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