𝟐𝟏

494 57 28
                                    





                               𝑨𝒎𝒆𝒍𝒊̀𝒆


Interessante.
Ecco come ho trovato il suo comportamento.

È anche vero che mi sono vergognata come una ladra nel provocarlo in quel modo.
Diciamo che non rientra proprio nel mio stile, però nella sua reazione, ci ho visto del tentennamento.

Gli occhi socchiusi che mi rimproveravano, le labbra serrate, la mandibola tesa, il petto che si alzava e abbassava.
E non vorrei sparare in alto, ma mi è sembrato di vedere un principio di Parkinson nelle sue mani.

Quella reazione mi ha fatto sentire... bene.
Soddisfatta.

Resta il fatto che ora mi ritrovo in bagno, davanti allo specchio, con questa sottospecie di vestitino tra le mani.
E per di più obbligata nell'indossarlo, dato che è l'unico che si avvicina alla decenza.

Innanzitutto, è nero.
Niente oro, giallo, fucsia, lilla o arlecchinate varie.
È di cotone.
E non di pizzo, o pieno di fastidiose paillettes.
Ha la scollatura che scopre sia le spalle che le clavicole, le maniche sono lunghe ed è aderente fino alla vita, poi, la gonna scende morbida e leggermente più ampia fino a metà coscia.

O per lo meno, questa era la prima impressione.
Una volta indossato, non ci arriva nemmeno a metà coscia.

«Posso mettere qualcosa di tuo?» urlo a colui che, tranquillo e beato come la maggior parte degli uomini, non dovrà farsi tutte queste pippe mentali.

«No, perché?» risponde apatico.
«No, perché?» lo imito facendo smorfie alquanto infantili.
Troverò un altro modo.

Provo a tirarlo verso il basso, cercando di non usare troppa forza ed evitando di romperlo, ma non faccio altro che causare un altro problema.

Se tiro in giù la gonna, si abbassa anche la scollatura.
Se tiro su la scollatura, si alza anche la gonna.
Tette o culo, qualcuno dei due mi avrebbe tradita.

«Putain!» impreco appoggiando le mani ai lati del lavandino.

«Posso vedere la causa delle tue lamentele?» domanda dall'altro lato della tenda.
«Ti odio.» lo informo, guardandomi allo specchio.

«Lo so ed è reciproco, quindi mettiamo fine a questa messa in scena ed esci dalla tana della vergogna.»
«Le probabilità di riuscita nell'impresa è basata su questo vestito?»
«Più o meno sì quindi se non esci tu, entro io.»
«Ecco, aspetta!» mamma mia che ansia.

«Amelìe, la mia pazienza temo inizi a fare i bagagli tra cinque,» inizia il countdown.

Merdaccia, non so più cosa sistemare.
Tiro giù o tiro su?
Come se fino a cinque minuti fa non ti sei addirittura chinata a novanta davanti a lui.

Dettaglissimi.

«Tre,»
«Manca il quattro, stronzo!» urlo facendolo ridere.

Cerco di raccogliere i capelli con una bacchetta di legno trovata in bagno ma, grazie al mio di Parkinson, l'effetto desiderato è pressoché scandaloso.
«Due, uno.»

Rui apre la tenda.
Io apro la tenda.

Entrambi l'abbiamo aperta nello stesso istante, ma dal verso opposto, ritrovandoci davanti al nulla.
Trattengo una risata e appena sento la sua, scoppio anche io.

È incredibile, più sente la mia e più aumenta la sua.
Per la prima volta, stiamo davvero ridendo insieme?

Ed è una risata vera, liberatoria e per lo più per una cosa stupida, aggiungerei.
Ma non vorrei mai smettere.

𝐂𝐎𝐂𝐎𝐍𝐔𝐓Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora