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JONAS

Ecco Andres. Finalmente stava arrivando, lo potevo osservare dalla finestra mentre si avvicinava con il motorino. Volevo davvero bene a quel ragazzo, appena l'avevo chiamato lui era arrivato, ed é questo che fanno gli amici. Aiutano. Senza chiedere niente in cambio. Ci eravamo conosciuti alla scuola elementare, non eravamo nella stessa classe ma iniziammo a giocare insieme durante l'intervallo. Nessuno di noi si trovava particolarmente a proprio agio con i compagni e così, da quando ci siamo incontrati, siamo diventati l'uno il compagno dell'altro. Eravamo sempre insieme, il pomeriggio, durante i pigiama party, alle partite di calcio. Alle scuole medie ci siamo un po' persi di vista, ma solo perché lui frequentava un'altra scuola. E poi, dalle superiori, tornò tutto come prima. Come se non fosse passato nemmeno un giorno da quando eravamo inseparabili. Ed ora, a tredici anni dal nostro primo incontro, lui era ancora lì per me.

"Ciao campione" mi salutò, dandomi il cinque, mentre scendeva dal motorino e si toglieva il casco.

"Bella And" risposi io, ricambiando il 'batti cinque'.

"Che cazzo é successo?" chiese lui, mentre ci sedevamo in giardino. Era aprile, ma il sole era già molto caldo e si stava bene senza giacca. Anzi, iniziavo persino a sudare, ma più che per il caldo sudavo per quel colloquio con Andres.

"Oggi non c'ero a scuola perché Virginia aveva la febbre".

"Mi hai chiamato per dirmi questo?" disse lui, guardandomi di sbieco. Probabilmente pensava che fossi diventato pazzo e, in un certo senso, lo ero. Ma pazzo di Virginia.

"No, lasciami spiegare. Penso che mi piaccia, la Nini intendo, aveva la febbre e abbiamo dormito insieme, la mattina abbiamo scherzato come due bambini e stiamo stati benissimo. Poi é arrivata Hanna, quella che mi sono scopato sabato, ed io ho baciato Virginia per farle capire che volevo solo lei.. ma mentre ci raccontavamo cosa ci piace, é scoppiata a piangere ed é scappata" confessai.

"No fermo, mi stai dicendo che sei innamorato di tua sorella?".

"Ma piantala di dire che é mia sorella, cazzo. Ti sto dicendo che non la capisco, voglio conoscerla meglio ma non riesco a comunicare con lei".

"Dov'è ora?" mi chiese.

"Penso chiusa in camera, lo é almeno da un'ora".

"Va su e prenditela, se ti fa stare bene non farla andare via. Falle capire che si può fidare di te, ma non pressarla, abbi pazienza!".

"Dici? E cosa dovrei fare?".

"Farle capire che fai sul serio. Non dev'essere facile per lei, sapendo che ti sei sempre scopato le ragazze nel bagno della scuola e che te ne sei fatta una anche due giorni fa" mi disse lui. Andres era un ottimo amico, soprattutto perché diceva quello che pensava, senza farsi problemi. I consigli che dava li pensava veramente, non rispondeva così tanto per dire qualcosa.

"Okay, grazie mille amico, davvero".

"E di che, se gli amici non servono a questo a che servono?".

"Ti lascio andare, vado da lei" gli dissi, battendogli il cinque. Gli dovevo un favore, poco ma sicuro. Senza di lui non avrei saputo che fare e probabilmente mi sarei lasciato scappare Virginia, le avrei permesso di allontanarsi da me. Ma anche mamma me lo diceva quando ero piccolo, lotta per i tuoi sogni. Era quello che avrei fatto.

VIRGINIA

Bussarono alla porta. O forse sarebbe meglio dire 'bussò alla porta', perché era certamente Jonas. Mi sentivo terribilmente in colpa per essermene andata così, piangendo, senza spiegargli nulla. Ma quando si trattava di mia mamma non volevo parlarne con nessuno, erano cose che riguardavano solo ed esclusivamente me. Però sapevo che non mi sarei potuta nascondere per sempre, che prima o poi sarei dovuta uscire ad affrontare il mio fratellastro, così mi decisi ad aprirgli.

Mi guardava, dritto negli occhi, senza dire niente. Era visibilmente turbato, triste, scosso. Ed era colpa mia. Tutta colpa mia. Lo abbracciai, stringendolo forte, mentre ricominciavo a piangere.

"Scusa scusa scusa" gli sussurrai tra i singhiozzi.

"Guardami, Nini" mi disse lui. Alzai lo sguardo fino a riagganciare nuovamente i miei occhi nei suoi.

"Per qualsiasi cosa, in qualunque momento, io ci sarò per te. Te lo prometto" continuò, con un tono così dolce che non fece altro che aumentare le mie lacrime, questa volta lacrime di commozione.

"Grazie" gli risposi sinceramente.

"Io ho fame, non hai fame?" domandò.

"Sto morendo di fame!".

"Mi cucini qualcosa? Ti prego, io sono negato".

"Pasta italiana? Tua mamma ne ha diverse confezioni".

"Affare fatto".

Mi prese per mano, facendo intrecciare le mie dita con le sue. Gli avrei parlato di mamma prima o poi, se lo meritava. Era l'unica che persona che stava facendo di tutto per farmi stare bene.

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