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JONAS

La storia con Virginia procedeva, tra alti e bassi. Eravamo sdraiati nel suo letto, abbracciati, avvolti in una morbida coperta, che non serviva poi moltissimo perché ci scaldavamo l'uno con il corpo dell'altra. Era ancora lunedì sera, nonostante i tantissimi eventi passati avessero fatto sembrare le ultime ore più lunghe di quello che furono realmente. É vero, erano successe così tante cose. Il nostro primo bacio, milioni di litigate e altri baci, tempo passato a cucinare come una coppietta che si é appena trasferita nella casa nuova, e ora stavamo per dormire abbracciati, come la sera precedente d'altronde. Durante la giornata Virginia aveva avuto ancora qualche lineetta di febbre, ma non ci aveva fatto caso, con tutti gli eventi successi nel frattempo.

"Amore" la chiamai.

"Mh-mh".

"Sono felice di essere qua con te".

"Anche io".

"Sei speciale".

Non mi rispose con le parole, ma si girò verso di me e si attaccò alle mie labbra. Non si accontentò di un semplice bacio, lo approfondì con la lingua mettendoci molta passione e mi mordicchiava anche il labbro, di tanto in tanto, rendendo il tutto più eccitante. Senza staccarmi da lei, mi sdraiai al suo fianco poggiando la testa sul cuscino. Ci addormentammo così, con le labbra distanti pochi millimetri e i corpi intrecciati.

Mi aveva cambiato. Ero un'altra persona, mi sentivo rinato. Mi facevo schifo solo al pensare di fare sesso con una ragazza che non fosse lei, eppure l'avevo fatto solo due giorni prima. Non avrei più fatto quell'errore, mai più. Avete presente quando vi impegnate a fondo per realizzare qualcosa a cui tenete particolarmente? Ecco, per me con Virginia era così. Mi sarei impegnato al massimo, avrei messo tutto me stesso per farla felice. Se lo meritava.

VIRGINIA

Martedì e mercoledì passarono velocemente, perché non andammo a scuola, come avevamo precedentemente stabilito. Non avevo mai saltato giorni di scuola se non per malattia, all'orfanatrofio ero molto controllata, inoltre io stessa avevo sempre amato andare a scuola; non che ora non mi piacesse più, però passare del tempo con Jonas era tutta un'altra cosa. Questa libertà mi piaceva, anche se un gesto del genere non avrei più potuto farlo con Carmen e Paul a casa.

Non avevamo più litigato, in quei due giorni. Ci scambiavamo qualche bacio ogni tanto, ma non eravamo una di quelle coppie esageratamente sdolcinate. Preferivamo giocare come bambini, farci gli scherzi e ridere per le nostre battute. In tutta sincerità, non sapevamo nemmeno se eravamo una vera coppia. Non stavamo ufficialmente insieme, ma non ero neppure una delle amiche di letto di Jonas. Non sapevo bene cosa fossimo, ma mi piaceva quel nostro rapporto.

I miei genitori adottivi sarebbero tornati il venerdì mattina e noi saremmo dovuti andare a scuola. Ci restava soltanto il giovedì per spassarcela, per passare le mattinate a guardare i film e i pomeriggi a far finta di studiare. Già, perché anche se non andavamo a scuola, non potevamo non fare nulla. Il venerdì, infatti, io avrei avuto la verifica di matematica e Jonas l'interrogazione di letteratura. Eva mi chiamava ogni pomeriggio, raccontandomi le noiose mattinate scolastiche e insultandomi, per scherzo, perché io me le stavo perdendo tutte. A scuola le avevo fatto dire che ero ammalata, l'influenza in quel periodo era molto diffusa e, in tutta sincerità, la domenica sera avevo davvero la febbre.

"Che facciamo stamattina?" domandai a Jonas.

"Tu che vuoi fare?" chiese lui. Mi innervosiva quando rispondeva alle mie domande con altre domande.

"L'ho chiesto a te, eddaaaai ti prego decidi un po' tu, ho già scelto i film di ieri e dell'altro ieri".

"Allora, oggi basta film. Che ne dici di..". Si interruppe all'improvviso. Era evidentemente senza idee! Possibile che gli uomini siano così privi di fantasia?

"Ci sono!" esclamò, facendomi rimangiare quanto avevo appena pensato.

"Spara l'idea" risposi io.

"Andiamo fuori da scuola all'una, quando i miei e i tuoi compagni escono.. e mangiamo insieme".

"È una scusa per non mangiare a casa e, quindi, per non lavare i piatti?" scherzai io,  anche se pensavo la stessa identica cosa. Eppure, andare contro il suo pensiero era divertente, vedere quando si offendeva e tentava di convincermi, non sapendo che mi ero già convinta.

"Scema. Dai, che ne pensi? ".

"Mi piace. Ma sono solo le undici, che facciamo?".

"Coccole?" propose lui, facendo uno sguardo tenerissimo che trovai incredibilmente sexy. Non lo posso negare, ma mi ero più volte chiesta perché non avesse ancora tentato di portarmi a letto. In fondo, lui era quello che si scopava tutte. Perché me no? Non volevo fare sesso con lui solo per aggiungermi alla lista di quelle che se l'erano fatto. Avrei voluto fare l'amore con lui perché gli volevo bene. Eppure, non mi aveva mai fatto capire di desiderare la stessa cosa ed io iniziavo a pensare di non piacergli per davvero. Pensavo non mi ritenesse adatta a lui, oppure pensavo mi identificasse solo come la bambina che aveva fatto sesso da piccola perché quasi costretta.

"Va bene, che coccole siano!" acconsentii, saltandogli in braccio e baciandogli l'angolo della bocca.

Amore fraternoDove le storie prendono vita. Scoprilo ora