13. Il gioco del futuro

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Sirius da un colpetto sul fianco a Remus, muove leggermente il capo e sospira: Lily é a pochi passi da loro, seduta sotto il portone d'ingresso. Davanti a lei si staglia il lago nero, gli alberi si muovono agitati sotto il peso del vento inarrestabile e in lontananza, invincibile, si erge il Platano Picchiatore.

I capelli biondi e corti, e a cui Remus ha fatto una tale difficoltà ad abituarsi, le ondeggiano sfarzosamente sulla nuca: ricorda ancora i primi giorni, il Licantropo, quando spesso e volentieri le passava accanto e neanche si fermava, alla ricerca dei suoi lunghi capelli rosso scuro.

"Andiamo," la voce di Sirius é un sussurro così flebile che si chiede se non abbia semplicemente mosso le labbra. Poi si incamminano entrambi: mani nelle tasche, teste incassate nelle spalle e occhi socchiusi per colpa del freddo. "Ehi, Evans! Ti dai alle riflessioni malinconiche?"

Lily non si muove, non da il minimo cenno di aver registrato il loro arrivo. Rimane immobile e Remus per un momento si chiede se stia effettivamente respirando.

"Lily..." chiama allora, con voce dolce e indecisa, "Non vuoi rientrare? Tra poco abbiamo lezione."

La ragazza continua a guardare davanti a sé, le labbra serrate, il viso insolitamente pallido.

Sirius lancia uno sguardo all'amico, é leggermente allarmato e allo stesso tempo impaziente: non sa bene come trattare con una persona così diversa da loro, e nessuno dei ragazzi ha la benché minima idea di come la Grifondoro sia realmente fatta.

Certo, sette anni di lezioni insieme e pasti spesso gomito contro gomito. Ma si può dire di conoscere realmente una persona?

Remus stringe le labbra e i pugni: ha condiviso ogni notte di luna piena con Peter Minus e non ha capito nulla di quello che affermava essere suo amico, come può arrogarsi la presunzione di conoscere Lily Evans?

Sirius scuote la testa, il licantropo si chiede se condividano gli stessi pensieri: "Evans... coraggio... ti prenderai un malanno come minimo."

Lily sospira, sbatte le palpebre ma non si alza. Remus fa per richiamarla ma Sirius, borbottando qualcosa a mezza voce, si sfila il mantello dalle spalle e lo poggia su quelle della ragazza.

Forse é il calore improvviso o il contatto inaspettato, ma lei sembra come ridestarsi da un sogno: abbassa la testa, muove gli occhi e osserva il tessuto ricaderle sul corpo. Dopodiché si morde il labbro inferiore e torna a guardare davanti a sé.

Passano interminabili secondi - Remus si chiede se non sia il caso di pensare addirittura che siano minuti - prima che si decida a parlare. La voce le esce fioca, rotta: é solo l'ombra del Prefetto, e successivamente Caposcuola, fiero che non arretrava davanti alle loro scorribande.

"Quando ero piccola facevo un gioco," si schiarisce la voce, "Con mia sorella più che altro. Ogni giorno sceglievamo una parola, tipo... una specie di tema del giorno, non saprei spiegarvelo. Un giorno era "fantasia", l'altro "scuola" e via così, e da lì inventavamo cosa saremmo state da grandi. Un giorno quindi sarei diventata una principessa, quello dopo un'insegnante. Una volta inventai di andare sulla luna, mi sembrava la cosa più assurda di sempre... beh... questo prima del mio undicesimo compleanno." Prende un pausa, si stringe nel mantello e aggiunge: "Non avevo mai pensato a un futuro così, però."

Remus sente la gola sorprendentemente arida, Sirius apre e richiude la bocca sistematicamente.

"Io... anche io facevo un gioco con mio fratello," ammette infine, sedendosi accanto alla ragazza e rivolgendo lo sguardo verso il Lago Nero. "Sognavamo di andare via... nessun albero genealogico o feste cerimoniose tra Purosangue, solo un sacco a pelo, uno zaino e noi due in giro per il mondo."

La trappola del tempo - i malandrini a spasso nel futuro Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora