La ragazza albanese

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Mentre Giusy rientrava verso la caserma su quello scooter sgangherato, il sole sorgeva dietro di lei. Nell'aria frizzante del mattino, stretta in quel golfino che profumava di fiori, sorrideva come un'imbecille fingendo di non avvertire la testa pulsare e la sabbia appiccata ai vestiti. Erano anni che non rientrava di soppiatto all'alba, secoli forse. I raggi del sole si riflettevano sull'acqua. Lei costeggiava quel canale. Nonostante la puzza di gasolio e quel rumore assordante le sembrava di volare, di nuovo; come quando da piccola correva su per la stradina dietro la chiesa e si inerpicava sulle pendici del vulcano fino a sporgersi al di là di quel suo piccolo paese e vedere il mare. E correva e saliva finché poteva osservare le sponde della sua isola e quell' immenso e infinito orizzonte, pieno di possibilità. Su quel pennacchio di pietra nera si era sempre sentita come un pirata che guarda il nulla davanti a lui senza la pena di chiedersi dove il vento lo indirizzerà. Libera, viva.

Le sembrava ancora di percepire le carezze di Fabio sulla pelle e il profumo del caffè forte che le aveva preparato, svegliandola con un bacio. Era così sbagliato sentirsi felici? Non avevano fatto l'amore due adulti, ma un ragazzino in costume con una pistola intagliata nel legno e una bimba vestita da pirata che rimirava l'orizzonte mimando con le mani un cannocchiale. Forse era questo che rendeva tutto talmente bello. E terribilmente fragile. Quasi voleva fermare quel sole che stava nascendo così prepotente, perché quando fosse sorto, quei due ragazzini sarebbero diventati di nuovo due carabinieri e avevano un omicidio da risolvere e regole ferree da rispettare.

Lasciò la vespa nel cortile della caserma, prese la scala antincendio sul retro e salì al suo piano, quindi spinse lentamente il maniglione antipanico. Il metallo freddo sulle mani le ricordò la porta dell'ingresso della casa nelle colline reggiane, quando rientrava la sera troppo tardi sperando di arrivare in camera sua senza farsi sentire dai genitori. Se non avesse fatto il carabiniere avrebbe potuto reinventarsi una carriera da ladra: aveva un passo decisamente leggero. Entrò socchiudendo la porta: Rosa dormiva profondamente. Si tolse lentamente quel golfino verde appoggiandolo alla poltrona, di fianco al comodino; quindi, sfilò la canottiera, la gonna e gli anfibi. Gettò i vestiti sporchi a terra e li nascose sotto al letto con un calcetto. Rosa lanciò un mugolio e si rigirò tra le lenzuola. Giusy trattenne il fiato.

Quando, infine, scivolò sotto la coperta leggera si chiese se dovesse mentire anche a lei. Di base era una persona sincera, ma in cuor suo non poteva che confessare di aver passato gran parte degli anni della sua adolescenza a mentire con l'abilità di un giocatore di poker navigato. Non con le amiche forse, ma coi genitori o con gli insegnanti... quella era tutta un'altra storia. Chiuse gli occhi anche se dubitava di poter a prendere sonno. L'unica che riusciva a scucirle la verità era sua madre, forse era da lei che aveva imparato quell'arte sottile di capire se qualcuno mente.

Copiare i compiti era sempre stato facile per lei. Non aveva paura, anzi, sembrava che il brivido quasi le desse una scossa di piacere. Trovarsi di fronte a una domanda e saper di aver letto quel testo una volta soltanto, guardare un compito in cui non sai da dove partire: l'incertezza, la paura, la sfida. Pensare che dalle medie era uscita col voto migliore della classe. Il liceo che lei aveva scelto ad Enna era una buona scuola, che era pronta a cominciare con abnegazione e impegno, ma poi era avvenuto quell'incidente al cantiere di suo padre. Dall'oggi al domani era rimasto senza lavoro e la madre aveva preso quella triste decisione per tutti.

Voltare pagina non era stato facile. Aveva dovuto lasciare la propria casa, il paese, gli amici, le stagioni miti, il profumo del mare e le sue gite sul vulcano. Era stata catapultata in una scuola nuova, difficilissima, dove non conosceva nessuno, in un posto freddo, coperto da nebbia cento giorni l'anno, con temperature che d'inverno danzavano sempre attorno lo zero, senza mai aver la possibilità di scorgere il mare. Quel viaggio, il suo primo grande viaggio, l'aveva cambiata. L'aveva resa più forte, ma anche molto spregiudicata. Non aveva scelto lei quella scuola assurda e non intendeva rinunciare alla sua vita per stare dietro a quelle folli interrogazioni. Così aveva cambiato strategia: era meglio fare il minimo indispensabile, tenere un basso profilo e aspettare solo che quella tortura finisse. E nel frattempo ... perché non divertirsi un po'?

L'uomo nel fiumeDove le storie prendono vita. Scoprilo ora