A casa di Carsi

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Fabio si allacciò il giubbotto antiproiettile e salì in auto deciso seguendo Catalano. L'altra pattuglia li precedeva. Aveva scelto tutte persone che conoscessero Carsi e non era affatto un caso. Voleva qualcuno preparato al fatto che quell'uomo di mezza taglia poteva essere ignobile e insidioso, il più pericoloso degli assassini, se voleva esserlo. Era certo che Parisi si sarebbe molto risentita, ma era anche altrettanto sicuro che, con quella motivazione, avrebbe scovato più di una pista da quei dati telefonici, per dimostrargli di aver sbagliato a non affidarle quel compito. Non aveva nulla di personale contro di lei. O forse, ecco... non di negativo senz'altro. Anche se doveva ammettere che l'idea che uno come Carsi le mettesse le mani addosso lo faceva fremere. Si impose di concentrarsi sulla missione. Doveva togliersi quella ragazza dalla testa, il più in fretta possibile, ma più ci provava, più tornava a pensare a quella sera. Perché non l'aveva svegliato? Perché aveva fatto finta di nulla? Si vergognava?

«Brigadiere, ci siamo» disse Catalano.

Il solo rumore di quel ciottolato di campagna gli fece tornare alla mente l'arresto di Lo Cascio e di Carsi in una nebbiosa mattina di novembre di alcuni anni prima. Una di quelle stelle che aveva appuntate sulla giacca la doveva a quel giorno: quando aveva rincorso quel verme nello scantinato. Lui si era nascosto dietro un colonnato e l'aveva atteso nell'ombra. Quell'uomo non aveva paura di nulla e di nessuno: era una belva pronta a qualsiasi cosa pur di fuggire. L'aveva colpito al volto con una trave rompendogli il naso e aveva cercato di prendergli l'arma nel buio.

Era rimasto in lui molto vivido il ricordo del momento in cui Carsi gli aveva puntato la sua pistola contro. Quel trafficante possedeva un talento innato nel ribaltare la situazione a suo favore. Per fortuna lui aveva visto una vecchia trave poco sopra di lui. Aveva saltato, e si era dato una spinta colpendo Carsi in faccia. L'uomo aveva sparato al buio e poi aveva perso la pistola nel colpo. Lanciani era atterrato sopra di lui e l'aveva immobilizzato e ammanettato. Quindi si era alzato per recuperare la sua arma. Non contento, Carsi aveva provato a scappare nella direzione opposta, nonostante le manette. Gli aveva sparato a una gamba e l'uomo era caduto a terra dolorante. L'aveva alzato di peso e condotto fuori. Un secondino del carcere, anni dopo, gli aveva detto che Carsi ancora zoppicava per quella ferita e che, a volte, quando veniva un carabiniere in carcere, chiedeva se si trattasse del brigadiere.

Ora era un azzardo cercarlo in quel cascinale, ma da qualche parte dovevano pur cominciare. Se anche non c'era, non era detto che non avesse lasciato indizi o che non ci sarebbe tornato. Dovevano essere invisibili, come fantasmi. Se Carsi si fosse accorto di impronte o di oggetti spostati, sarebbe scappato, annullando il loro vantaggio. Lasciarono le auto a un centinaio di metri dal viottolo d'ingresso e si inoltrarono nella boscaglia. Proprio come avevano fatto quel giorno, anche se molto più in forze. Percepiva il respiro affannato nel caldo della notte in cui sprofondava la pianura: il cielo era senza stelle, nuvoloso, l'ideale per un'imboscata. Il destino gli stava sorridendo questa volta. Catalano lo precedeva di alcuni metri. Si accostarono alla casa. Fabio sentiva il suo cuore martellare e perdersi nell'eco delle valli.

Aveva ancora paura, dopo tanti anni. Gli avevano insegnato che era un bene averne. La paura affina i sensi, ti rende di nuovo un predatore in una giungla, aumenta il battito cardiaco, l'adrenalina. Aguzza la vista e l'udito. Il tuo istinto smette di pensare e comincia ad agire in automatico con un solo scopo: cacciare o essere cacciato. Indicò agli altri due agenti di coprire il retro dell'edificio deserto. Lui costeggiò con Catalano la parete laterale cercando un ingresso. Tastava ogni porta o finestra. Girò l'angolo della casa e vide una possibile entrata. La ispezionò con la torcia. Il portone si aprì cigolando. Rimasero fermi cercando di capire se c'erano state reazioni a quel rumore. Si udiva solo il vento che brontolava nella sera. Sicuramente il trafficante non teneva lì qualcosa di prezioso o avrebbe chiuso a chiave. Sparirono in uno stretto corridoio al buio. Nella casa non si udiva nemmeno un sussurro. Diede indicazioni a Catalano di ispezionare la parte sinistra. Lui prese la destra.

«Siamo dentro, ala est deserta» dissero negli auricolari.

«Installate la telecamera» ordinò Lanciani ispezionando il primo locale della sua parte. Vuoto. Inspirò a fondo cercando di calmare il battito del suo cuore. La delusione era tanta.

«Brigadiere, deve vedere una cosa» disse alla trasmittente Catalano.

Lanciani lasciò la stanza e tornò suoi passi. Aprì un paio di porte e le richiuse prima di individuare il locale dove si trovava Catalano. C'era una grossa cartina davanti a lui con molti segni rossi e alcuni depositi cerchiati. Lanciani indicò il luogo dove avevano trovato il cadavere di Ferrer. Catalano annuì. Estrasse una macchina fotografica e scattò foto a tutta la pianta.

«Fuori in tre minuti» disse quindi Lanciani.

«Ricevuto» risposero i colleghi.

«Telecamere?» chiese poi mentre faceva strada a Catalano per uscire.

«Installate» risposero.

Lui fece un segno di assenso a Catalano e lasciarono l'edificio in silenzio nella notte fonda.

C'era qualcosa di inquietante in quel luogo. Una parte di lui si sentì più al sicuro una volta rientrato nella sua auto. Domandò a Catalano di passargli la macchina fotografica e osservò quella cartina. Potevano riuscire a scucire da Lo Cascio una confessione su cose fosse? Lanciani ne dubitava, ma doveva provare. Non aveva mai capito davvero se il capo fosse Lo Cascio o Carsi o se fossero soci alla pari. Di fatto, Lo Cascio si era preso tutta la colpa della droga senza fiatare. Lanciani non aveva mai compreso bene perché.

«Cosa pensa che sia quello schema, brigadiere?» chiese Catalano quando abbandonarono quel viottolo per tornare sulla provinciale.

«Non lo so, ma puzza di droga lontano un miglio. Temo che la barcaccia sia la punta di un iceberg. Dobbiamo capire se è un'idea o se la stanno mettendo in pratica e si sono sbarazzati di Ferrer per togliere testimoni. Forse ha visto qualcosa che non doveva vedere.»

Catalano annuì deciso aumentando il passo dell'auto. Rientrarono in caserma in silenzio. Ringraziò i colleghi e dopo aver verificato insieme che le telecamere funzionassero si fermò incerto davanti alla porta degli alloggi. Catalano lo sorprese e con lo spazzolino in bocca gli chiese se avesse ancora bisogno di qualcosa.

«Tranquillo, riposo, buona notte» disse solo Lanciani e quindi si dileguò mestamente dal corridoio. Lasciò il giubbotto e l'attrezzatura nell'armeria e si diresse alla sua auto.

L'acqua lo guardava livida dai canali fuori dal finestrino. Abbassò il vetro per sentire l'aria fresca scivolargli addosso. Prese la super strada quasi col pilota automatico dirigendosi verso Corte Centrale. Mentre viaggiava vedeva nella sua testa quella cartina. Cosa aveva in mente quell'uomo?

"Perché vuoi entrare nel nucleo operativo?" aveva chiesto a Parisi. Quello che non le aveva detto era che anche lui avevano offerto quel posto, dopo la vicenda di Carsi. Lui si era tirato indietro per tentare di salvare il suo matrimonio. Anche se era a Ferrara, quel lavoro non aveva orari, né regole. Era ogni volta un tuffo nel buio della mente dei peggiori criminali della zona. Allora perché aveva accettato questo omicidio? Prima di sapere chi era il cadavere, o che Carsi fosse coinvolto, aveva acconsentito perché gli mancava l'adrenalina, l'emozione, il pathos, l'incertezza, la tenebra. Sfidare il buio per uscirne più forti, per dimostrare di esserne capaci. Forse la sua motivazione in effetti era molto peggio di quella di Parisi. Non lo spingeva un'ideale di giustizia per le vittime o la possibilità di dare pace ai loro familiari. Gli importava solo dimostrare a sé stesso di essere ancora vivo. Doveva ergersi di fronte alla morte, guardare quella signora con la falce e il mantello scuro dritta negli occhi per arrivare a scoprire che non era ancora la sua ora. Rientrò in casa con quei mesti pensieri e sprofondò nelle sue lenzuola leggere. Rimase a guardare il soffitto per qualche minuto. L'ombra delle piante creava strani disegni. Gli sembrò di scorgere i capelli di Giusy ondeggiare al vento. Distolse lo sguardo. Chiuse gli occhi e sprofondò in un sonno agitato.

L'uomo nel fiumeDove le storie prendono vita. Scoprilo ora