Troppo

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Giusy si guardava immobile allo specchio. Le veniva in mente una sola parola: troppo. Gli ordini erano chiari, ma lei non voleva obbedire, non questa volta. Passò la mano sul vestito di lustrini dorati che Rosa le aveva prestato. Era decisamente piccolo e le tirava molto, specie sul seno. Era troppo. Come quelle scarpe rosse lucide di Giulia con dieci centimetri di tacco a spillo. Le sembrava di essere tornata una liceale alla sua prima festa in discoteca. Eppure, a quel party, lei c'era andata con gli anfibi. Di certo così vestita non sembrava un carabiniere, ma non era sicura che fosse quello che Lanciani volesse.

«Sei uno schianto, tesoro» le disse Rosa comparendo dietro di lei. «Se fossi in lui io non ti staccherei gli occhi di dosso».

«Tu non sei lui.» Sentirono un'auto suonare nel parcheggio.

«È in anticipo!»

Giusy le passò le scarpe. «Moriremo stasera con questi tacchi. A metà serata pagherai per un paio di infradito.»

«Cosa non si fa per l'arma dei Carabinieri!» se la rise Rosa.

Giusy prese la borsa e vi infilò distintivo, telefono e portafoglio; quindi, seguì mestamente Rosa già dalle scale. Erano quasi a metà della rampa quando si accorsero del tifo che avevano dietro di loro. Rosa sembrava perfettamente a suo agio. Salutò la claque e continuò a scendere i gradini ancheggiando ancora più forzatamente. Giusy invece rimase un attimo a fissarli stringendo i denti. Rimpianse di aver lasciato la pistola in cassaforte.

"Vorrei vedervi ridere così con una 9mm puntata nel sedere" pensò mentre scendeva le scale della caserma. Fabio suonò di nuovo il clacson, non lo degnò di uno sguardo. Voleva giocare col fuoco? L'avrebbe accontentato. Salì in macchina senza fiatare e lasciò a Rosa il posto davanti.

Fabio le sorrise. «Perfette» aggiunse soddisfatto mettendo in moto. Il vento della decappottabile le scompigliava i capelli nella sera che volgeva al tramonto. Le lanciò alcune occhiate nello specchietto retrovisore, ma non osò dire altro. Rosa, imbarazzata, fingeva di guardare la campagna che scorreva di fianco a loro. Il tragitto fu abbastanza breve. Prima di farle scendere, Fabio passò loro una copia della foto con Ferrer, Yatima e il bambino. Rosa la studiò per un attimo. Giusy non la guardò nemmeno: aveva lo sguardo di quella donna ben impresso nella mente. Lo faceva per lei e per suo figlio, perché potevano essere in pericolo.

«Dividetevi, io devo fare qualche giro, dalle 21:00 in poi mi trovate al ristorante Charles Rois» aggiunse Fabio. Rosa annuì. Giusy fissava la gente che fluiva lentamente nella via centrale. Mise la foto in borsa e scese in silenzio.

«Parisi, problemi?» chiese il brigadiere.

Lei si fermò impietrita senza osare guardarlo: fissava quell'immagine così diversa da quella che riconosceva come sé stessa. Chi era l'uomo su quella macchina? Nemmeno lui sembrava lo stesso che vedeva ogni giorno in caserma: i capelli pieni di gel, la camicia sbottonata, il tanfo di profumo, la fronte imperlata di sudore, i pantaloni attillati e quelle scarpe lucide. Era tutto finto, come quella barcaccia, e le causava un senso di ribrezzo. Quanto all'Audi? Chiaramente l'aveva presa per farsi beffe di lei. Non gli aveva ancora perdonato di non averla chiamata a casa di Carsi, nonostante fosse stato un buco nell'acqua. Perché continuava a mandarle segnali così contrastanti? Si sentiva sempre più scorata e sempre meno lucida su quella storia. Non voleva essere la "Pretty woman" dei carabinieri. Non aveva bisogno di essere salvata da nessuno. Semmai era lui a dover essere salvato, scuro com'era in quei giorni. Non le serviva una minigonna per scoprire se avessero visto Yatima o l'architetto. Poteva entrare in jeans e anfibi in uno qualsiasi di quei bar e farsi offrire da bere in meno di dieci minuti e Rosa altrettanto. Questo sfoggio le sembrava davvero fuori luogo, un capriccio inutile.

L'uomo nel fiumeDove le storie prendono vita. Scoprilo ora