Medaglia d'Oro al Valore

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Con l'alta uniforme sotto i raggi potenti del sole di fine giugno Fabio si sentiva soffocare, si allentò la cravatta e si guardò intorno. Era in piedi da ore davanti alla caserma. Lentamente si era radunata una folla sempre più gremita di privati cittadini, rappresentanze politiche o dei comandi vicini, della protezione civile, di altre forze dell'ordine. Vedere tanta gente stipata insieme in assoluto silenzio era straniante. Chiaroni in quei giorni aveva fatto avanti e indietro dalla casa circondariale di Ferrara per cercare di far parlare Sinani e il nigeriano, tale Bungale Tangara. Nonostante la morte di Carsi, sembravano avere la bocca cucita, questo gli faceva pensare che Lo Cascio non fosse esattamente estraneo ai fatti oppure quello stratega di Carsi aveva lasciato un piano anche per la sua morte. Sospirò desolato. In ogni caso non stava a lui rispondere a quella domanda, non più.

Si era preso volentieri tutte le incombenze riguardanti le esequie del suo braccio destro. Una parte di lui si sentiva davvero come se gli mancasse un pezzo di sé stesso, del suo essere carabiniere. Avevano servito insieme quasi sette anni e ora non aveva più nessuno che gli guardasse le spalle. Si sentiva perso, solo: il pensiero che fosse stato Carsi a portargli via il suo vice era la parte peggiore. Sistemò accuratamente la scritta di una coccarda che si era attorcigliata con uno sbuffo di vento.

Nella foto ricordo Catalano sembrava più giovane: era stata scattata al suo ingresso in caserma. Studiò quel ragazzo timido e sincero, dai capelli scuri e lo sguardo profondo, preciso e scrupoloso trattenendo a fatica le lacrime. L'aveva davvero salvato: l'aveva rincorso per anni con quelle dannate gocce senza lamentarsi, senza mai osare chiedere più di quanto il grado gli consentisse, portandogli rispetto assoluto. Nei momenti più bui del suo rientro in caserma gli era sempre stato vicino seppure con totale discrezione. Quante risate si erano concessi quando lo portava a mangiare da qualche parte. Non toccava nemmeno mezzo bicchiere di vino, ma era una buona forchetta.

Negli anni erano entrati in confidenza, gli aveva raccontato molto della sua famiglia, della sua terra, dei suoi genitori, della sua sfrenata passione per i motori. Ricordò i gran premi guardati insieme in caserma o nella sua casa a Corte Maggiore o quando gli aveva fatto provare la sua TTS sulla provinciale: era così felice. Gli bastava il rombo di un motore per sentirsi in pace col mondo. Probabilmente se non fosse entrato nell'arma, avrebbe fatto il meccanico o il pilota, forse il secondo, se solo non fosse stato tanto alto. Si pulì velocemente gli occhi quando vide il maresciallo Salzi farsi largo in mezzo alla folla seguito da alcuni carabinieri della squadra omicidi di Ferrara. Porsero tutti i loro ossequi.

«Come sta, brigadiere?»

Fabio sentiva di stare per crollare di nuovo.

«Si faccia forza.» aggiunse infine dirigendosi verso i genitori di Catalano.

Fabio era andato personalmente a prenderli e li avevi scortati fino in caserma: due persone squisite, con una compostezza nel dolore che l'aveva lasciato attonito. Li aveva ringraziati con la voce rotta per gli anni di servizio e per il coraggio dimostrato da loro figlio fino alla fine. L'audacia era mancata a lui nel tentare disparatamente di non far sparire quella voce tremula e dire loro ciò che andava detto, quando avrebbe voluto soltanto abbracciarli e piangere insieme senza aggiungere niente. Vide Lisa entrare dal cancello e si avvicinò a lei. Il tenente Tambosi gli diede un pugnetto sulla spalla. Poi tirò fuori un fazzoletto: gli asciugò la faccia e gli strinse meglio la cravatta.

«Se Catalano fosse qui, ti farebbe un mazzo tanto.»

Fabio sorrise debolmente: Lisa aveva ragione. Tentò di ricomporsi, appena in tempo per vedere la sua ex moglie Paola e suo figlio che venivano a braccetto dal parcheggio. In cuor suo in quel momento pregò davvero che Catalano vegliasse su di lui anche da lassù. Non voleva costringere suo figlio a vivere un giorno simile. Un bambino di cinque anni non dovrebbe piangere sulla bara del padre. Yuri si staccò dalla madre e gli corse incontro circondandolo con un abbraccio. Gli bastò sentire il suo odore e quelle piccole manine stringerlo per riuscire infine a respirare. In quel momento gli sembrarono troppi i giorni da cui non lo vedeva. Si ripropose di ritagliarsi un po' di tempo per stare insieme quella settimana. La vita era talmente breve! E in cuor suo sapeva benissimo di aver rischiato di essere al posto di Catalano. Per la verità avrebbero potuto esserci tre bare quel giorno su quel piazzale, non una, e quel pensiero non lo faceva dormire la notte.

L'uomo nel fiumeDove le storie prendono vita. Scoprilo ora