La mappa degli scontrini

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Giusy stava fissando quella cartina appesa al vetro della finestra da ore, ma quasi non la vedeva più. Rosa era di pattuglia, Giulia era partita prima di pranzo per una riunione d'emergenza a Ravenna con Chiaroni e ancora non era tornata. Aveva provato a chiamare il tenente Lisa Tambosi, ma le avevano risposto che era impegnata e che l'avrebbe richiamata lei appena possibile. Ennesimo buco nell'acqua di quella giornata. Perché non la sentiva il brigadiere se erano tanto in confidenza? Sospirò delusa. Lanciani era tornato verso le 16:00, ma non le aveva detto nulla sulla cooperativa Agli o su nuovi sviluppi. Si era semplicemente chiuso nel suo ufficio, probabilmente era al telefono col Maresciallo Salzi. Ormai chiamava ogni giorno e non era affatto un buon segno: essere sotto la lente di ingrandimento la rendeva nervosa. Non riusciva a togliersi dalla testa l'idea che Fabio in qualche modo volesse farla parlare con Lisa, anche se non vedeva il motivo. Il suo passato non la interessava e per ora la loro storia era congelata nel limbo dell'immobilismo.

Le sembrava di essere intrappolata in quella caserma e che il mondo fuori stesse scivolando via come l'acqua del canale che scorreva pigro all'orizzonte. Era tutta la vita che scappava e ora per la prima volta si era ripromessa di non farlo. Non riusciva mai a tacitare in lei la paura di sentirsi in trappola. Prima ancora di essere un carabiniere aveva passato gran parte della sua adolescenza e della sua vita adulta a cercare di ritagliarsi in ogni situazione una via di fuga. Era una sensazione sottile, sotterranea, la cui origine era nascosta in profondità, al pari del suo idioma che veniva fuori quando meno se l'aspettava, tra le spire dell'alcool.

Non le era mai importato molto il giudizio degli altri, non era quello a spaventarla. Tuttavia, aveva capito, fin dalla tenera età, che ogni luogo aveva le sue leggi non scritte. Se vuoi vivere in una società devi accettare il compromesso. Ecco lei era una campionessa mondiale dei compromessi: riusciva a cambiare il suo accento, l'inflessione della voce, il modo di gesticolare o di fermarsi i capelli, il trucco, quasi che in lei convivessero molte persone insieme e sapesse ad istinto guardandosi intorno qual era il modo migliore per mimetizzarsi in un ambiente e sfruttarlo a suo vantaggio. Non aveva paura di svettare o di primeggiare, semplicemente voleva farlo iniziando la competizione alla pari.

Una parte di lei si riconosceva in una matriosca dagli occhi inquietanti che teneva sua nonna in salotto sopra la mensola. Per proteggersi, le era stato necessario nascondere all'interno le sue vere paure, mostrarsi sempre allegra, pimpante, estroversa. Gli esseri umani sono fondamentalmente specchi: se tu sorridi, la gente ti sorriderà indietro. Il suo compito in quel momento però era quello di specchiarsi negli occhi di un assassino, perché dentro di lei se lo sentiva quasi come una sensazione di prurito sulla pelle: Carsi aveva già ucciso e avrebbe potuto rifarlo. Per arrivare a pensare come lui doveva scartare quella matriosca, togliere la ragazza solare a cui piaceva ballare a piedi nudi sulla spiaggia, il carabiniere che voleva entrare nel nucleo investigativo, la figlia in guerra con una madre che non capiva la strada che aveva scelto, l'impiegata brillante che aveva fatto carriera, ma aveva rifiutato una promozione e un bello stipendio per arruolarsi, la diplomata che lavorava in ceramica per le sostituzioni estive per pagarsi un volo last-minute per la Sicilia.

Per capire un uomo complesso come Carsi, che aveva tirato fuori e mostrato al mondo le statuine più piccole della sua mostruosa matriosca, doveva scavare molto più sotto. Forse la liceale che riusciva a raggirare i suoi professori poteva iniziare a capirlo, ma lei, in fondo, non aveva mai fatto male a nessuno copiando un compito, mentre Carsi sì. Per quanta paura le facesse, doveva andare più indietro nel tempo e molto più in fondo al suo cuore.

Nel suo piccolo paese alle pendici dell'Etna c'era un solo divieto alle loro scorribande: il cantiere dell'ospedale, opera più o meno eterna che andava avanti a tentoni dando lavoro a fasi alterne a metà dei muratori del paese compreso suo padre. A volte quando il cantiere era chiuso (un mese sì e uno no) scappava all'intervallo con un paio di amichetti della scuola elementare e si sfidavano a esplorarne gli oscuri anfratti. La polvere si attaccava sempre alle sue scarpe o addosso ai vestiti. Così la nonna, chiamata dalla scuola, la accoglieva sulla soglia di casa con una scopa in mano. La faceva sedere e reagiva al suo silenzio con la gelida calma di un ufficiale della Gestapo e poi concludeva con questa frase: "È inutili ammucciari a lurdia sutta u tappitu". La polvere viene sempre a galla. Basta un soffio di vento... e questo Carsi doveva saperlo bene. Dove poteva essere andato a nascondersi?

L'uomo nel fiumeDove le storie prendono vita. Scoprilo ora