Prologo

274 19 53
                                    

15 gennaio

La porta della casa circondariale si aprì cigolando nella sera uggiosa della campagna ferrarese. Si strinse nel cappotto logoro e grigio rabbrividendo dal freddo: odiava dover tornare in quel posto, lo disturbava anche solo vederne la sagoma in lontananza. Odiava dover indossare i vestiti del padre come un poveraccio qualunque. Odiava sentire il suo odore pungente di sigaro appiccicato a quegli abiti per quanto continuasse a lavarli. Odiava essere tornato a vivere nella cascina che gli aveva lasciato, oltre a un mare di debiti. Comunque, meglio che la prigione.

Aveva dovuto farsi passare per pazzo per uscire da lì, lasciarsi imbottire di medicinali a causa dei quali guidava a fatica la vespa azzurra trovata in svendita in una concessionaria dell'usato. E per cosa? Per passare la sua vita in uno scantinato a riparare biciclette? Contorse la bocca e generò un ovale che si perse nella nebbia fitta.

«Carsi, è il tuo turno, vieni» lo chiamò l'agente di custodia. Doveva fare quella fila ogni sera per firmare il loro stupido registro, almeno per altri tre anni. Entrò nella garrita strofinandosi le mani, cercando di scaldare le dita. «Lì ci sono le medicine che ti ha dato il dottore e c'è un piccolo regalo del tuo amichetto, Lo Cascio. Da regolamento abbiamo dovuto aprirlo, lo sai. Comunque, se vi scambiate i giornaletti femminili non sono fatti miei.»

Carsi lo osservò sospettoso. Non era nei piani che Vitaliano gli mandasse un messaggio. Prese le medicine, il giornale e salutò le guardie.

«E togli quella vespa dal vialetto o la prossima volta chiamo i carabinieri!» gli urlò la guardia sporgendosi dalla feritoia. Carsi lo fissò con disprezzo: avrebbe tanto voluto prendere un fil di ferro e garrotare quell'uomo come aveva fatto con la signora Edvige, ma doveva starsene buono. L'omicidio, i carabinieri non erano riusciti a dimostrarlo. Era dentro per furto e spaccio: robetta da poco, in confronto al suo vero valore. Montò in sella alla vespa e si diresse mestamente verso la cascina del padre.

Un'ora più tardi, in una cucina buia e vuota, stava mangiando una pizza fredda sfogliando quel giornale per trovare il messaggio del suo compare. Non c'erano scritte in effetti, ma Vitaliano era sempre stato un caprone a leggere e scrivere. Poi si accorse della piega di una pagina, l'aprì e rimase impietrito davanti alla pubblicità di un'autocarrozzeria intestata a Giorgio Fanti, nipote e unico erede di Edvige. Stai a vedere che quel bastardo aveva venduto la loro droga per fare la bella vita! Avendo visto quel luogo dimenticato da Dio nel mezzo del nulla che la signora chiamava casa, dubitava fortemente gliel'avessero pagato abbastanza per comprarsi quei due capannoni. Quell'uomo aveva rovinato un piano perfetto.

A causa sua avevano dovuto uccidere una vecchierella e scappare dai carabinieri per mesi, braccati come cani, per finire poi in carcere. E nel frattempo lui si girava la giostra così, alla faccia loro? Era molto tempo che non fantasticava sulla cocaina, l'oro bianco, il suo primo vero e unico amore. Gettò il resto della pizza nel pattume e aprì una bottiglia di vino: voleva coprire la bile che aveva in gola a ricordare quel ragazzino.

Non funzionò, così decise di recuperare dalla cantina la vecchia mappa dell'epoca. La stese sul tavolo e sospirò, pensando alle serate passate con Vitaliano a discutere su quel pezzo di carta. Rispolverare il percorso dei canali da Ravenna ai lidi ferraresi era la loro idea di una vita: una specie di Sacro Graal tra i trafficanti della zona. Ci provavano tutti da anni, ma venivano sempre beccati alle chiuse: troppo lente, troppo tempo per oltrepassarle, troppi pizzini da pagare. Così, all'epoca, avevano usato i lavori di ristrutturazione a casa della signora Edvige per trasportare la droga sotto i sacchi di ghiaia. Sarebbe filato tutto liscio, se il nipote non avesse visto la roba stoccata nel vecchio pollaio e gli fosse venuto in mente che poteva fare il magnifico e rubarla. Diede un pugno sul tavolo, poi si fermò a guardare il cartone della pizza mezzo accartocciato nel cestino. Lo pulì dei rimasugli di pomodoro e lo voltò.

Cominciò a ridere e più ci pensava, più rideva. Come aveva fatto a non arrivarci prima! La risposta era lì davanti a lui: semplice e geniale, racchiusa in quella scatola. Appese la mappa al muro e la guardò soddisfatto. Finalmente, dopo anni, ora sapeva come passare quelle dannate chiuse. Avrebbe fatto una marea di soldi, ne avrebbe tenuta da parte una fetta anche per Vitaliano, ma non poteva aspettare che lui uscisse e nemmeno di finire l'obbligo di firma. Aveva meno di sei mesi per organizzare tutto in vista dell'estate: era solo, senza complici, ma sentiva di doverlo fare in quel momento; non poteva rischiare che qualcuno gli rubasse l'idea. Si meritava un ultimo bellissimo giro di giostra prima di prendere il volo verso un paese tropicale senza leggi di estradizione. Avrebbe riempito di droga gli amati lidi del brigadiere Lanciani fino all'ultimo locale e lui non se ne sarebbe accorto, finché non sarebbe stato troppo tardi. Si sarebbe pentito di non avergli sparato in testa al momento dell'arresto, invece che in una gamba, rendendolo uno zoppo storpio.

Si versò un altro bicchiere di vino e lo gustò con calma, poi prese il sacco a pelo e andò a sistemarsi sopra la paglia nel fienile: l'unico luogo della casa abbastanza alto da non farlo sentire in cella. Gettò in gola un paio di pastiglie e si perse a guardare il cielo terso di stelle dall'abbaino sopra di lui. Per la prima volta da mesi, chiuse gli occhi e dormì come un bambino.




L'uomo nel fiumeDove le storie prendono vita. Scoprilo ora