Ospedale del delta

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Lanciani stava procedendo lentamente nell'erba alta, i capelli bagnati fradici, guardava dritto il cielo sopra di lui e quei goccioloni di pioggia piovergli addosso. Quel tragitto gli era sembrato fulmineo all'andata, ma ora era come se la terra si fosse trasformata nel fango di una melmosa palude e gli anfibi si appesantivano ad ogni passo. Chiaroni lo precedeva aprendo la bocca al cielo come per bere. Alla fine, il collega l'aveva convinto a farsi vedere al pronto soccorso. Era una ferita superficiale, bruciava certo, ma aveva visto di peggio. Sentirono uno sparo attutito in lontananza, poi lo stridere dei freni, altri colpi stavolta molto più decisi. Lanciani si voltò verso il parcheggio. Vide distintamente un paio di suoi colleghi montare sulle moto, le sirene delle altre volanti che si accesero. Cosa mai poteva essere successo?

«Recupera l'auto, vado a vedere» disse a Chiaroni. Il vicebrigadiere partì di corsa.

Lanciani si guardò attorno per un istante incerto sulla direzione da prendere. Le volanti procedettero oltre, invece le moto si fermarono: vide un motociclista sbracciarsi verso di lui e urlare. Dall'abbigliamento non fece fatica a riconoscere Giulia. Quel vestito luccicava nella notte come un faro indicandogli la via. Cominciò a correre con un pensiero sempre più orribile cauterizzato nella mente: dov'era il mezzo che doveva scortare Carsi? Chiaroni lo raggiunse con la vettura a metà dello stradino. Frenò lasciando una scia, Lanciani salì e indicò la direzione. Fermarono l'automobile in mezzo alla strada, increduli, a pochi metri dalle moto e scesero. C'erano dei fuochi accesi che la pioggia tentava invano di spegnere.

Un paio di carabinieri erano inginocchiati su un uomo riverso sulla mezzeria della strada. Lanciani corse verso la figura, si chinò a terra e vide il volto sconvolto e allucinato del suo vice, gli occhi infossati, il collo completamente coperto di sangue. Si guardò un attimo intorno, dov'era l'auto? Dov'era Carsi? E soprattutto dov'era Giusy? Catalano gli prese il braccio, con le mani luride. La sua voce era un sussulto coperto dalla pioggia.

«Mi dispiace, l'ha colpita. Non ... sono riuscito...»

Lanciani deglutì a stento: l'avevano perquisito in tre, lui compreso, ma quello che vedeva nel collo di quel povero ragazzo era un foro di pistola. Chiaroni tornò indietro alla macchina per chiedere via radio se le ambulanze erano già partite.

«Non ti preoccupare, adesso, non parlare, tu hai fatto il possibile. Catalano, ascoltami, andrà tutto bene ok, devi solo rimanere sveglio, ti prego. Carsi non andrà lontano, sta tranquillo, ha tre volanti dietro.».

«L'ho... l'ho colpito.»

«Lo so, sei stato bravo, non parlare. Andrò tutto bene, pensa che la signora Ada ci aspetta per tagliatelle, ok?» Fabio cercò di infondergli coraggio.

Catalano sorrise seppure dolorante, contraendo il volto e tossendo.

Lanciani si alzò e vide Giulia seduta sul bordo del canale con la testa tra le mani insanguinate, il casco abbandonato a terra. Ogni passo che faceva verso di lei si sentiva più colpevole, più spezzato, rotto, per sempre. Carsi non poteva avergli fatto questo! Quando la vide stesa sulla paglia ispida del canale gli franarono le gambe. Un fianco era coperto di sangue, il viso imbrattato e i riccioli scuri danzavano nel vento, pallida come una lapide.

«Respira, ma non voglio toccarla o spostarla, lo squarcio che ha in testa non mi piace» ammise Giulia.

«Non doveva essere lì, in quell'auto, dovevo esserci io, soltanto io.»

«Conosce il regolamento, Brigadiere.»

Non gliene fregava più nulla di quelle regole e della sua divisa: l'arma dei carabinieri non poteva chiedergli un prezzo così alto. Era il loro mestiere e lo comprendeva, ma un conto è saperlo, un altro accettarlo, perché la morte toglie il fiato.

L'uomo nel fiumeDove le storie prendono vita. Scoprilo ora