Precipizio

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Giusy stava cadendo, precipitando con una spada piantata nel fianco. Sangue e pioggia, vetri infranti, colpi di pistola. L'asfalto si avvicinava sempre di più finché tutto divenne nero all'improvviso e nel buio venne risucchiata da un condotto con le pareti viscide e bagnate e più scalciava, più tentava di aggrapparsi, più cadeva velocemente e quella luce bianca sopra di lei si allontanava diventando sempre più piccola. Le sue urla si perdevano nel silenzio, rimbombavano attorno a lei. Avvertì un dolore acuto alla caviglia, percepì l'osso della gamba cedere. Infine, lo schianto sonoro rimbombò sulla schiena propagandosi fin alla testa. Il condotto girava su stesso nell'oscurità e il dolore si rifrangeva a ondate nel suo corpo. Si sentiva uno scoglio alla deriva nel silenzio.

«Aiuto!» gridò spaventata. Ripeté quell'urlo disperato e man mano la sua voce cambiava, si assottigliava fino a risultare un flebile suono praticamente afono. "Aiutatimi!" pensò di nuovo. Nessuno sembrava averla udita.

Si tirò faticosamente a sedere lottando con le fitte che le dava la schiena e si appoggiò alla parete e infine lasciò che i suoi occhi si abituassero al buio. Le sue mani le sembravano più piccole, non tanto di dimensioni: proprio bambine. Le unghiette innocenti erano ricoperte da uno smalto rosa con stelline applicato con tratto visibilmente incerto. Si guardò la giacca azzurra col pelo coperto di sangue schizzato. I suoi ricci selvaggi erano appiccicati alla fronte e aveva perso il suo cappello: sentiva il sangue in bocca. I jeans con l'applique di una fata erano strappati e sporchi. Gli stivali slacciati e luridi, sprofondati nel fango almeno per due o tre dita.

Puntò lo sguardo appannato verso la luce, lassù, lontana, quasi solo percettibile. Ogni tanto un rado fiocco di neve cadeva lungo quel condotto lentamente, come se precipitasse sfiorando le pareti, certamente più dolcemente di quanto lei non avesse fatto. Solo allora si accorse di non essere sola. Lungo il condotto poco più avanti vedeva una scarpa, uno stivale, vecchio e logoro attaccato ad un paio di pantaloni a coste e una calza grigia scivolata su un polpaccio virile.

«Aiutami, piffauri!» allungò la mano verso la sagoma. Le rispose solo il silenzio. Si fece coraggio e si avvicinò all'uomo gattonando nel buio. Era immobile, chiuso in un cappotto logoro e grigio. Posò una mano su quella figura e la ritrasse impressionata: guardò orripilata l'arto livido e freddo. Era come se fosse fatto di ceramica o di metallo, non riusciva bene a descrivere quel senso di viscido e sporco. Fece per voltarsi, ma una mano grande la prese per una spalla e cominciò a stringere. Non poté infine che alzare lo sguardo spaventata e fissarlo per un attimo. Il viso del morto si contrasse in un ghigno diabolico e la fissò con quegli occhi gialli e inumani: Carsi. Giusy si svegliò urlando, sudata e tremante in un letto d'ospedale. Avvertì i punti tirarle sull'addome e un conato di vomito salirle fino alla gola. Sbiancò e la testa cominciò a girarle.

Fabio scattò dalla sedia preoccupato. «Piano, Giusy! Devi stare distesa.»

Lei fissò per un attimo quegli occhi verdi e profondi e scoppiò a piangere. Fabio la prese tra le sue braccia.

«Andrà tutto bene, sei qui, sei ancora qui» ripeteva stringendola mentre le accarezzava i capelli. Non sapeva se quelle poche parole fossero per consolare lei o sé stesso.

In tutta onestà Giusy si chiese se fosse davvero una fortuna essere ancora lì, viva. O piuttosto una colpa? O una beffa del tempo... una sorta di condanna perché d'ora in poi avrebbe avuto per sempre nella testa quegli occhi gialli inumani che la fissavano e ridevano di lei nel buio.

«Respira, devi soltanto respirare»

Sentiva un blocco sullo sterno, quasi avesse un peso che non andava né su né giù, come se dovesse lottare per tirare fiato. Lentamente iniziò a sentirsi debole e si appoggiò al cuscino. Avvertiva ancora quella spada piantata nel fianco e la testa che rimbombava. L'eco di quel grido era come la voce di lei bambina in quell'incubo insopportabile che non riusciva a smettere di fare. Ora anche Carsi ne faceva parte e il solo pensiero di viverlo e riviverlo, ogni notte, la terrorizzava. «Dove sono?» chiese disorientata.

L'uomo nel fiumeDove le storie prendono vita. Scoprilo ora