La tempesta di sabbia

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Fabio si passò una mano sulla fronte sudata, parcheggiò l'auto sulla strada che costeggiava il canale accodandola alle altre volanti. Scese pensando che quel bastardo di Carsi era davvero un nostalgico. Era nato proprio lì, a Casalborsetti, su quel fiume, sulla barca del padre. Lo ricordava come se fosse un aneddoto di quelli che debbano finire su un libro di storia, come se la sua miseria fosse una scusante a quello che aveva combinato in vita. Il brigadiere si sentiva beffato. Prima quell'uomo gli aveva tolto la sua dignità e poi la certezza di una condanna dopo tutti i sacrifici svolti dalla sua squadra a catturarlo e alla fine si era portato via anche il suo braccio destro, lasciandolo così a vivere con tutto quel marcio e quei ricordi immortalati nell'anima.

Soffiava un forte vento da sud che quasi gli faceva volare via il cappello di ordinanza. Era stato Chiaroni a chiamarlo poco prima. Si era accuratamente tenuto defilato dal sopralluogo che il nigeriano alla fine aveva accettato di fare, su consiglio del suo avvocato, rivelando il loro covo. Aveva cantato, quindi lì non c'era altra droga: Fabio ne era abbastanza certo. Vide il nigeriano lasciare la casa scortato da due carabinieri e dall'avvocato. Lo salutarono mettendosi sull'attenti, ricambiò ed entrò in quella piccola casetta abbandonata dalle pareti verdi scrostate. Il pensiero che fossero rimasti così vicini a loro per tutto il tempo lo lasciava senza fiato. Intravide Chiaroni in salotto: stava imbustando un bianchetto e un pennarello nero.

«La targa?» chiese Lanciani.

«Probabile. Ti ho chiamato perché davvero non capisco perché ci ha portati qui?» annuì il nuovo brigadiere capo.

«Per fare bella figura col giudice, noi non c'entriamo» Fabio aveva molta esperienza in proposito.

«L'abbiamo preso disarmato e, dopo la fuga iniziale, non ha resistito all'arresto. Abbiamo le foto mentre stava spacciando, ma così è già tanto se gli danno un paio danni. Continua a dire che lui era solo un facchino, che rispondeva agli ordini di Carsi, che non sa dov'è il resto della droga.»

Fabio si avvicinò alla scrivania. C'era un blocco per le note sul tavolo e una penna accanto. Lo sfogliò coi guanti, sembrava intonso. Aprì i cassetti trovò alcune buste marroni.

«Farò refertare tutto. I vestiti di Carsi sono di là se vuoi dare un'occhiata» Lo precedette in camera.

Fabio scosse la testa: non voleva sentire quell'odore un'altra volta, aveva paura che gli scatenasse un altro attacco di panico. Rimase bloccato sulla porta mentre Chiaroni, spalancate le ante del vecchio armadio, guardava nelle tasche dei vestiti.

«Parisi come sta?»

«Giusy sta meglio, grazie» Fabio cercava di concentrarsi su qualsiasi altro particolare in quella stanza che non fosse quell'odore di disinfettante e sapone di Marsiglia.

«Allora fate sul serio. Giusy?» Chiaroni sollevò lo sguardo verso di lui.

«Sono un pazzo lo so.» Fabio si grattò la testa dietro il cappello a disagio.

«Sei un pazzo fortunato. Dai, va da lei, ti mando le foto qui e le guardi con calma lunedì»

«Grazie.»

«Figurati. Il peggio di questa storia era arrestare Carsi. Hai già fatto tu il lavoro sporco. Io sto solo chiudendo i giochi» tentò di tirarlo un po' su di morale Chiaroni.

«In verità dovevo trovare l'assassino di Ferrer.»

«Hai fatto un grande ritrovamento di droga, accontentati. So che Catalano ti manca, manca a tutti, ma non vorrebbe vederti così giù.»

«Non vorrebbe nemmeno vedermi gettare la mia carriera per Giusy.»

«Può essere. Dai, vattene prima che ci ripensi anche io!» lo imbeccò Chiaroni.

L'uomo nel fiumeDove le storie prendono vita. Scoprilo ora