Fabio era nel suo ufficio al telefono col Maresciallo Salzi da più di venti minuti quando bussarono alla porta. Era Catalano: lo invitò ad entrare. Il vicebrigadiere rimase in piedi in attesa davanti alla scrivania senza scomporsi. Fabio tamburellava nervosamente con la penna sul tavolo. Come aveva paventato a Parisi, stava ricevendo molte pressioni dall'alto per il caso. Più che dell'omicidio, il maresciallo era preoccupato della fuga di Carsi. Lanciani non aveva bisogno di richiami in tal senso: si ricordava di quell'uomo come se il suo arresto fosse avvenuto il mese precedente e non anni prima.
«Qualsiasi pista, sì, senz'altro. Il giudice cos'ha deciso?» chiese Lanciani. L'unico vantaggio di avere le alte sfere addosso era che la lenta macchina burocratica giudiziaria si muoveva molto più velocemente del solito. «Ottimo, lunedì ci presentiamo da Lo Cascio. Ancora nessuna traccia della donna o di Carsi. La tengo informato, certo, Maresciallo, arrivederci» Si passò una mano sugli occhi stanchi. «Hai buone notizie, Catalano?» Il brigadiere gli fece segno di sedersi e andare al dunque.
«La Signora Tagliani ha una mini».
No, non erano buone notizie; questo la poneva fuori dei giochi, logico: non vedeva il marito da tempo. Probabilmente nemmeno sapeva nulla di quella barcaccia, come il fratello. Era un vicolo cieco. Fabio sospirò.
«Ci hanno portato i tracciati del cellulare dell'architetto» il sottoposto gli consegnò una busta gialla.
«Ottimo, passa questo bel malloppo a Parisi» ordinò senza guardarlo nemmeno. Era il vantaggio di essere brigadiere, lasciare certi compiti noiosi ai sottoposti. «Tracce del SUV o dell'auto sportiva tra le macchine rubate?»
«Del SUV no, ma Ferrer aveva un SUV e potrebbe coincidere. Ho segnalato la targa a tutta le volanti in circolazione. Invece ci sono almeno dieci auto sportive rubate nei dintorni, solo nell'ultimo anno, che potrebbero portare pneumatici P-Zeta Rosso. Sette portavano questo tipo di gomme al momento del furto.»
Lanciani annuì. Erano ancora troppe. Guardò fuori il sole che sbucava dalle nuvole poco prima di tramontare.
«Chiama Sestri, Giani e Chiaroni. Appena fa buio andiamo con due volanti a controllare l'ultimo domicilio conosciuto di Carsi. Piazzeremo davanti alla casa una di quelle telecamere che ci hanno mandato in test: quelle che si attivano col movimento. Prima che tu me lo chieda... abbiamo un bel mandato.» Lanciani lo passò a Catalano che sorrise soddisfatto.
Il sottoposto scattò sull'attenti e lo precedette fuori dall'ufficio. Fabio era stanco di stare lì ad aspettare. Era ora di anticipare quel bastardo e coglierlo in fallo, una volta per tutte.
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Giusy rimase a fissare i fogli che Catalano le aveva dato con una faccia che diceva più di molte parole. Vedendola così afflitta Rosa si avvicinò.
Infine, scoppiò sbattendo il plico sul tavolo. «Vanno a casa di Carsi e a me lascia da spulciare l'elenco del telefono. Perché pensa che io abbia imparato a portare questa?»
Rosa la guardò desolata. Capiva bene la sua amarezza. Capitava spesso, purtroppo. A volte avevi come l'impressione di appartenere sempre al campionato di recupero. Facevi carriera la metà degli uomini e non era perché loro erano migliori: avevano più opportunità di dimostrare sul campo il loro valore. Loro venivano relegate in ufficio: era triste e ingiusto. Per anni anche solo avere un carabiniere donna era stato un'eccezione alla regola, ora potevano entrare più facilmente, una volta in servizio, però, era ancora tutto molto complicato.
Da una parte Giusy cercava di razionalizzare: in fondo, era la recluta di quella squadra. La portava a fare i giri delle case, a guardare le foto e poi? Quando era ora di catturare il cattivo la lasciava a casa. Lanciani non era diverso da tutti gli altri uomini. Catalano avrebbe potuto passare al nucleo operativo quando voleva, era vicebrigadiere, ma lei? Cosa poteva fare lei? Le mancavano ancora troppi gradi. Per quanto fosse stata brillante in quel caso, non sarebbe bastato. Ricacciò le lacrime in gola.
«Mi dispiace tanto, tesoro.»
«Sono così orribile se spero che Carsi non sia in casa?»
La collega l'abbracciò. «Adesso brucia tanto, lo so. Ma passerà.»
«Carsi non è così stupido.» Richiamò un attimo la scheda di quell'uomo e poi guardò l'elenco.
Forse poteva trovare indizi essenziali anche da lì. Doveva capire qual era il numero di Carsi. Prese decisa il plico e lo sfogliò fino a trovare sabato: dopo le 18:00 c'erano dieci chiamate. Le trascrisse scorata. Era un centralino telefonico, l'architetto! Cerchiò l'ultima, stupita. 22:37. Alle 22:39 il segnale era cessato. Poi più nulla. Aveva risposto... e poi? Poi era morto? Il cellulare era caduto in acqua. Vedeva la scena davanti ai suoi occhi. Per quello non aveva reagito? Era distratto dallo smartphone? Si era girato verso il suo aggressore e poi boom. Si sistemò agitata sulla sedia: forse stava prendendo troppo sul personale quel caso; tuttavia, le pareva l'unico modo per capire il motivo per cui un tranquillo architetto che fa volontariato in Africa era finito in un canale un sabato sera come tanti, mentre lei giocava a bowling con alcuni suoi colleghi.
Ferrer stava parlando con qualcuno fino a pochi attimi prima di morire, quindi c'era un testimone, da qualche parte: qualcuno che aveva sentito tutto, magari anche la voce dell'assassino. Qualcuno che sicuramente aveva paura e che dovevano trovare. Recuperò il recapito lasciato dall'ex moglie. Anche se le sembrava strano era comunque un controllo dovuto. Non era lei. Il fratello forse? Aveva telefonato solo venti minuti prima; segnò il suo nome accanto al numero.
«Buongiorno, Signor Ferrer, qui è la caserma dei carabinieri, la contattavo per chiederle una conferma. Abbiamo avuto ora i registri telefonici del cellulare di suo fratello. Sabato sera, l'ha cercata intorno alle 21:30/22:00?» chiese Giusy senza troppi fronzoli.
«Sì, è stata una breve chiamata» ricordò l'architetto.
«Di cosa avete parlato?»
«Dovevamo metterci d'accordo per andare a trovare nostra madre insieme, la domenica successiva. C'eravamo dati appuntamento alla Pieve, come sempre. Lei vive da alcuni anni in un ricovero nella zona di Cento.»
Giusy si segnò l'indirizzo.
«Il giorno dopo l'ho aspettato alla Pieve per una mezz'ora. A nostra madre non ho ancora detto nulla... Non so come affrontare il discorso. Nessuno si augura di seppellire i propri figli!» sussultò senza più trattenere le lacrime.
«Non c'è un modo giusto di dire certe cose, credo. Lei per caso ha notato voci o qualche dettaglio sul posto in cui si trovava suo fratello?»
«C'era moltissimo rumore, ho faticato a capire cosa dicesse. Credo fosse in un locale: c'era musica sotto, moderna»
Giusy riguardò le foto della barcaccia: non c'era traccia di uno stereo. Da dove veniva la musica? Era sabato sera. Un locale notturno? Ma dove? Soli venti minuti prima dell'omicidio?
«Quando mi ha salutato ha detto che aveva sotto la chiamata di un cliente.»
Giusy esultò convinta. Scrisse di fianco all'altro numero: "Carsi?"
«Mi è sembrato strano che lo contattassero al sabato sera, ma devo ammettere che è capitato anche a me. A volte ti invitano a prendere un drink, festeggiare la fine dei lavori. Sa, è sempre meglio lasciarsi in buoni rapporti. Non si sa mai.»
«Mi è stato davvero molto utile. Quando ci saranno novità concrete la contatteremo. Una sola domanda: ha mai sentito parlare di una certa "Yatima"?»
«No, non che mi venga in mente in questo momento. Mio fratello era un tipo abbastanza riservato. Non mi sembra un nome italiano. Forse può provare a sentire alla cooperativa Agli.»
Giusy lo ringraziò del suggerimento e chiuse la comunicazione. Si sentiva di nuovo in pista, ora.
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L'uomo nel fiume
Mystery / Thriller# Finalista Wattys 2022 # Due ciclisti avvistano un cadavere a pelo dell'acqua durante una passeggiata nel Parco del Delta del Po. La squadra dei carabinieri di Comacchio viene incaricata dell'indagine. Giusy, al suo primo caso di omicidio, viene ch...