Capitolo 8: Non c'è mai fine al dolore.

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A Marcellinara, intanto, la situazione dei sui genitori diventava

sempre più critica. Don Nicola, che li aveva messi sul lastrico economicamente non facendogli più concludere affari nel mercato di quartiere, riuscì con uno dei suoi soliti affari poco puliti, a causa di debiti che Peppino aveva contratto e che non riusciva più ad onorare, a rilevare il piccolo appezzamento terreno di sua proprietà, lasciandogli solo l'umile casetta. L'uomo, non potendo accettare quel totale fallimento si recò a casa di Don Nicola con l'intento di affrontarlo direttamente.

<A cosa devo l'onore di averla nella mia abitazione caro Peppino?>

gli disse ironicamente Vitaliano che intanto, seduto allo scrittoio di quercia dello studio di Don Nicola, sorseggiava un bicchiere di brandy.

<Non sono qui per parlare con te Vitaliano, ma voglio conferire con tuo padre!> gli rispose con tono alquanto alterato Peppino.

<Mio padre non è in casa e non so quando rientrerà. Forse dovrebbe tornare in un'altro momento perché oggi la vedo particolarmente nervoso. Dovrebbe cercare di calmarsi, può essere molto pericoloso alla sua età.> concluse Vitaliano con il sorriso stampato sulla bocca e senza neanche guardarlo in faccia, come se quell'uomo non fosse degno di essere tenuto neanche in considerazione.

Peppino, sentendosi preso in giro per l'ennesima volta, alzò il tono della voce e gli urlò:

<Ma chi credete di essere voi Melluso? Avete rovinato il lavoro di tutta la mia vita, mia figlia è dovuta scappare ed ora mi avete portato via la mia proprietà, la mia terra che ho conquistato con il sudore della mia fronte. Non ve lo permetterò mai.>

<Peppino, un giorno ti dissi che le ritorsioni, per il comportamento di tua figlia, sarebbero state devastanti, considera che siamo solo all'inizio!>

Peppino guardò dritto negli occhi quell'uomo ed esclamò ad alta voce un pensiero che Vitaliano considerò come un'ennesima offesa alla sua persona.

<Ringrazio Dio per aver aperto gli occhi ed aver capito in tempo che lurido verme sei. Mia figlia è scappata perché le faceva schifo starti accanto e se io te l'avessi concessa in sposa sarei finito all'inferno per il grave peccato che avrei commesso!>

Vitaliano si alzò di scatto dallo scrittoio e prese Peppino per il collo iniziando a stringere talmente forte fino a farlo cambiare di colore in volto. L'uomo non riusciva proprio a liberarsi dalla forte presa che lo stava soffocando finché, fortunatamente, una voce proveniente dalle sue spalle con tono severo, ordinò:

<Lascialo immediatamente Vitaliano!>

<Papà lui mi ha offeso ed ha offeso la nostra casa.>

<Ti ho appena dato un ordine. Lascialo!>

Vitaliano, anche se controvoglia allentò la presa intorno al collo di Peppino il quale iniziò a respirare in modo affannoso e veloce. Poi ripresa la normale attività respiratoria si rivolse a Don Nicola e gli disse:

<Non aspettatevi ringraziamenti da parte mia per avermi salvato la vita!>

<Peppino caro, evidentemente ancora non hai capito chi hai davanti! Non ti ho salvato la vita per avere la tua devozione, se mio figlio ti avesse ucciso avrei perso tutto il divertimento nel vederti soffrire giorno dopo giorno.>

Pronunciata quell'agghiacciante frase Don Nicola chiamò un suo uomo di fiducia e fece mettere alla porta Peppino, il quale rientrò a casa ancora scosso da ciò che gli era appena successo.

La moglie Giulia dopo aver ascoltato il racconto di suo marito in tutte le sue parti, immediatamente gli preparò una tisana a base di camomilla per cercare di calmarlo, ma purtroppo lo stress, causato da quella interminabile giornata, fu tale da provocargli un attacco di cuore fulminante che gli risultò fatale.

Giulia, nei giorni successivi, dopo aver provveduto alla sepoltura di suo marito, decise di lasciare quel paese che le aveva dato solo tante disgrazie e si presentò a casa della sorella Rosa per chiederle ospitalità la quale l'accolse con amore, come solo una sorella può fare. Rosa dopo aver ascoltato commossa tutto ciò che Giulia raccontava, tra le lacrime convocò suo figlio Mario e lo mandò immediatamente al palazzo dei Vivaldi per avvertire Annamaria della disgrazia appena successa. La ragazza, accompagnata da suo cugino, accorse immediatamente e non appena vide sua madre l'abbracciò e le chiese perdono.

<E' tutta colpa mia mamma cara. Papà é morto per colpa mia. Se io non fossi mai scappata Don Nicola non si sarebbe mai vendicato e lui sarebbe ancora vivo!>

<Figlia mia, non è affatto colpa tua. E' stata una disgrazia, il Signore a volte ha un disegno divino che a noi poveri mortali non è concesso capire, ma papà ora in cielo veglierà su di noi, soprattutto su di te!>

<Non ho avuto la possibilità di dirgli quanto gli volessi bene e chiedergli perdono per avergli disobbedito.>

<Lui sapeva che lo amavi ed in quanto al perdono era lui che voleva

chiederlo a te per non averti ascoltato. Non doveva costringerti a sposare Vitaliano e lo aveva capito. E' morto sereno e felice sapendoti al sicuro, lontano da quell'uomo.>

<Un giorno Vitaliano pagherà per quello che ha fatto. La morte di Andrea ed ora anche quella di papà sono opera sua, non lo dimenticherò mai.>

Annamaria pronunciò quelle parole con molta malinconia, poiché la morte di suo padre le aveva nuovamente riaperto la ferita al cuore inflittagli proprio da Vitaliano con l'uccisione di Andrea. Credeva di averla ormai superata, ma evidentemente un dolore del genere non si supera mai. Si può andare avanti, costruirsi un futuro diverso anche con altre persone, ma in un angolo nascosto del cuore il dolore rimane latente pronto a risvegliarsi in qualunque momento. Sapere però che suo padre non le aveva portato rancore le fece ritornare il sorriso ed allora raccontò a sua madre della presenza di Matteo nella sua vita. Grazie fu felice di apprendere che sua figlia avesse finalmente trovato un motivo per andare avanti, anche se la complicata situazione sentimentale in cui si era imbattuta le destava non poche preoccupazioni.

Quella sera Annamaria fece rientro al palazzo in tarda serata, accompagnata da suo cugino Mario, il quale giunto davanti al portone, la salutò con un bacio sulla guancia. Matteo che aveva notato la mancanza della ragazza e soprattutto l'ora tarda, preoccupato, l'aspettava affacciato da una delle finestre del palazzo e di conseguenza assistette a quella particolare scena che provocò in lui una tremenda gelosia. Annamaria non appena entrò nell'atrio del palazzo fu immediatamente aggredita verbalmente dal ragazzo, che con voce particolarmente irata, le disse:

<Dove sei stata? Chi era quel ragazzo? Pensi davvero di tradirmi in questo modo?>

<Aspetta Matteo non hai capito niente!> disse lei cercando di discolparsi.

<Non c'è bisogno di capire, ho visto che vi siete baciati!>

<Era solo un innocente bacio sulla guancia e quel ragazzo era mio cugino Mario, il figlio di mia zia Rosa.>

Annamaria gli raccontò, allora, tutte quello che le era successo, compresa la morte del padre e dell'arrivo della madre in città.

Matteo, si scusò immediatamente per aver dubitato di lei e le spiegò che la sua gelosia era dettata solo dalla paura di perderla. In quel preciso momento Matteo si rese conto che il sentimento per quella ragazza era cresciuto al punto tale da fargli dire:

<Ti amo Annamaria. Ti amo immensamente!>

Annamaria, in preda ad una gioia irrefrenabile, rimase alcuni secondi

senza parlare, poi, nel silenzio di quell'istante, anche lei rispose:

<Anch'io ti amo Matteo! Non credevo possibile potesse succedere ancora , ma è così!>

Suggellarono quel momento magico con un lungo e appassionato bacio, senza purtroppo, rendersi conto di non essere soli. Dietro una colonna, nascosto nell'ombra, c'era una persona che li stata silenziosamente osservando.

LA COMPAGNA DEL SOLDATODove le storie prendono vita. Scoprilo ora