Ragione e Sentimento (Pov Jacob)

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Jacob

"E siccome non poteva sperare di vederlo trionfare, avrebbe almeno voluto vederlo indifferente".
Al leggere quella frase, scaraventai il libro contro il muro. Poi mi precipitai a raccoglierlo. Ragione e sentimento. Il romanzo che Bella stava leggendo l'ultima volta che mi era venuta a trovare in garage. Una delle poche cose che mi erano rimaste di lei. Oltre al ricordo di quella notte alla quale non avrei dovuto pensare.
Tornai a fissare insistentemente il soffitto della mia camera, come sperando che quell'insieme di travi e pannelli di legno potessero decidere cosa fare al posto mio. Il soffitto però non mi rispondeva, e continuava a fissarmi a sua volta immutabile e silenzioso. Il telefono iniziò a squillare. Non mi mossi neanche di un millimetro ed attesi che terminasse. Sapevo perfettamente chi fosse e non avevo voglia di sentirla. E poi era profondamente incoerente con se stessa. L'ultima volta che ci eravamo visti, il giorno in cui avevo portato la moto davanti casa sua, aveva detto che non mi voleva più incontrare, neanche per sbaglio. Dopo neanche due ore mi aveva chiamato. Ora ero io a non volerla sentire. Mi faceva troppo male. Come se saperla con lui, sapere quello che sarebbe diventata, prima o poi, non fosse abbastanza. Non era meglio allontanarci adesso, piuttosto che arrivare al momento prima della sua trasformazione come amici, per ritrovarmela come nemica appena tre giorni dopo? Beh, forse era meglio per me, ma sembrava che a me dovessi pensarci io visto che lei si comportava in quel modo. Il telefono riprese a squillare. Certo che era insistente quando ci si metteva. E chissà cosa diceva la sua sanguisuga di quell'attaccamento morboso che Bella manifestava nei miei confronti.
Già... morboso... lo diceva la parola stessa: io ero una malattia. E lui doveva farla guarire. Altrimenti non sarei mai guarito neanche io. Di nuovo il telefono smise di squillare, per ricominciare subito dopo. Ma che cazzo voleva? Sapeva perfettamente che mio padre era con il suo al fiume, e che io potevo essere da qualsiasi parte... magari impegnato in una ronda alla ricerca della succhiasangue dai capelli del colore del fuoco... una volta l'aveva chiamata Victoria. Potevo essere impegnato a proteggere lei, anche se non mi voleva vedere. Tutti eravamo impegnati a proteggere lei. Turni di ronda massacranti per evitare che la uccidessero... e lei con un vampiro ci dormiva. L'avevo visto entrare nella sua stanza una notte che ero di ronda. Ma in fondo lui non l'avrebbe mai avuta come l'avevo avuta io. Avrebbe rischiato di ucciderla, e puntavo sul fatto che l'amasse troppo per correre il rischio di farle del male. Avrebbero aspettato che si fosse trasformata. Non l'avrebbe mai avuta così morbida, calda, fragile, appassionata e capace di arrossire. Quanto era bella quella notte. Quanto avrei voluto ripetere quell'esperienza. Quanto avevo desiderato che quella notte avesse avuto delle conseguenze. In fondo, di protezioni non ne avevamo usate. Non che fossi impaziente di diventare padre, al contrario, ma un figlio da lei l'avrei voluto anche subito. Perché sarebbe stato un legame profondo ed eterno con la donna che amavo.
«Jake sei in casa?»
Una voce interruppe il corso dei miei pensieri. Una voce che conoscevo bene. Una voce che mi aveva salvato da una profonda crisi depressiva nella quale mi stavo cacciando da solo.
I miei sogni erano destinati a rimanere tali, visto che erano passati quasi due mesi, e lei non mi aveva ancora chiamato per urlarmi contro di averla messa nei casini.
«Jaaaake» mi canzonò Seth facendo oscillare la sua mano davanti alla faccia.
«Marmocchio che ci fai qui?» risposi incazzato come mio solito.
Ormai era quello il mio personaggio e forse anche il mio modo di essere.
«Ero solo venuto ad avvisarti del cambio di turno. Dovrai essere a casa di B... Charlie - il marmocchio si era ripreso appena in tempo, sapeva che non volevo che me la nominassero - alle due di oggi pomeriggio. Il turno finisce alla stessa ora di domani»
«E perché sei venuto tu?» chiesi. Di solito mi avvisava Sam.
«Perché tu non rispondi al telefono - disse, indicando il filo che avevo finito per stroncare per la disperazione - tuo padre non ne sarà molto contento»
«Almeno la smette di chiamare Rebecca alle Hawaii. Lui prende solo una pensione di invalidità, ed io non lavoro ancora. Dobbiamo mantenerci in due con quello che proviene da quella pensione e se lui spende tutti i soldi in bollette del telefono...»
«Sì, come se ci credessi a questa scusa Jake. Ha suonato fino a due minuti fa, lo sentivamo da casa di Sam!»
Il marmocchio mi stava rompendo i coglioni. Non doveva infastidirmi altrimenti...
«Jake, andiamo» mi sentii chiamare. Era Paul, che aveva appena salvato il piccoletto da una sonora lezione.
«Devo passare il mio turno di guardia con te? Sai che palle» gli dissi.
«Così va la vita. E adesso piantala se non vuoi che ti azzanni» mi disse tirandomi uno scappellotto.
Ci trasformammo e ci avviammo verso casa di Charlie. Si sentiva puzza di vampiro da chilometri, e infatti... lo vidi uscire dalla finestra della camera di Bella poco prima che arrivassimo. Da quella camera...
Da quella camera cosa Jake? Chiese Paul incuriosito.
Non sono cazzi tuoi, Paul. Risposi.
Odiavo le menti in comune. Quando sei trasformato non hai un minimo di privacy. E questo significava anche che ci sorbivamo resoconti dettagliati delle imprese di Jared e Kim. E Jared era uno che aveva l'abitudine di indugiare sui particolari.
Bleah. Non mi ci far pensare.
E' tutta invidia. Rispose Jared.
Cazzo. Era trasformato. E ci sentiva. Beh, in fondo erano solo venticinque i chilometri di distanza da La Push. Avevamo sperimentato una distanza cento volte maggiore per le comunicazioni, e ci sentivamo perfettamente. Come se fossimo insieme.
Già, perciò la prossima volta tenete i vostri pensieri per voi. Disse Jared.
Sentii qualcuno canticchiare allegramente sottovoce. Era Bella. Chissà perché... poi sentii la macchina della polizia arrivare. Altro che noi, era Charlie che Edward voleva evitare. Già, a sentire mio padre si sarebbero dovuti vedere solo un'oretta al giorno, sotto stretta sorveglianza di Charlie, o a scuola, dove lui non poteva far niente. Ma se Charlie stava tornando a casa... dove era mio padre? La risposta mi arrivò quando vidi Charlie tirare fuori dal portabagagli la sua sedia a rotelle. Avrebbero pranzato con lei. In altre occasioni sarei stato invitato anche io, ma mio padre aveva capito che stavo cercando di evitarla. Che stavo cercando di farmi passare quella stupida cotta.
Cotta? Jake, chi vuoi prendere in giro? Mi disse Paul.
Ringhiai.
Oh, scusa, mister non-commentare-la-mia-vita-privata-se-no-ti-sbrano. Non sono io quello che ci pensa continuamente.
Paul, tu non hai una vita privata. Come fai a pensarci? Risposi incazzato
Mi mostrò i denti.
Ma se l'era cercata. E comunque non avrebbe attaccato il suo capo in seconda. Per le due ore seguenti girammo attorno alla casa lungo due circonferenze. Un perimetro più stretto, che stavo percorrendo io, e uno più ampio, sul quale si trovava Paul. Questo perché se qualcosa fosse sfuggito a lui non sarebbe certo sfuggito a me. Ma non avevo messo in conto la mia attrazione per lei. Il perimetro che dovevo controllare era tutto all'interno del bosco, per evitare che si accorgesse dei turni di ronda. Invece finii per uscire nel suo giardino, seguendo il richiamo di quel suo canticchiare anche mentre lavava i piatti. Chissà cosa l'aveva resa così felice? Alzando il muso, per un attimo incontrai gli occhi di lei, che subito li richiuse incredula. Mi affrettai a nascondermi. Quando li riaprì ero scomparso. Avrebbe pensato di avere le allucinazioni.
Sei un idiota Jake. Quasi ti facevi scoprire. E pensare che sei stato tu insieme a quel succhiasangue del suo ragazzo a pensare che non avrebbe gradito essere controllata.
Paul, cazzo sta zitto. Quasi avrei preferito Leah a te.
Leah. Come cazzo avesse finito per trasformarsi non si era ancora capito. E poi era fastidiosa, irritante e sempre pronta a pensare male degli altri. Che fosse incazzata con Sam potevo pure capirlo - anche se ora sapeva della cosa dell'imprinting, e doveva aver pensato al fatto che non fosse colpa sua - ma che la facesse scontare a noi assolutamente no.
Sei sicuro di quello che dici? Mi chiese arrogante.
Assolutamente no, Paul.
Era una giornata tranquilla. Più o meno. Iniziai a canticchiare una serie di canzoni degli anni '80. In modo da riempirmi la testa e non avere problemi né con la bestia che mi accompagnava, né con la sanguisuga che stava rientrando in casa in quel momento. Charlie era appena uscito per riaccompagnare mio padre alla riserva. Sarebbero stati insieme per un'oretta buona prima che rientrasse. Ero curioso di sapere cosa facessero in quei momenti. Chiacchieravano? Si coccolavano? Litigavano?
Jake, quello che fanno fanno. Non sono affari tuoi. E poi non dire che non sei masochista. Mi riprese Paul.
Menomale che era fuori tiro, un po' di sana lotta mi ci sarebbe proprio voluta per rilassarmi.
Cazzo Paul, ma perché mi tocca sempre il turno di ronda con te?
Vuoi proprio saperlo? Mi chiese.
Sì. Risposi
Perché non ti sopporta più nessuno. L'unico altro che ancora verrebbe con te è Embry, ma sembra che Sam pensi che cazzeggereste troppo invece di controllare Bella. E anche se lei non ci fosse, dovreste comunque controllare che la vampira non si avvicini alla città.
Paul, mi spieghi ancora una volta perché sono io il comandante in seconda?
Diritto di nascita, credo. Disse ridacchiando tra sé e sé. Ma la verità è che quando non ti lasci trasportare dai sentimenti e ragioni sulle cose che fai sei un ottimo capo.
Dici sul serio?
Immagino di sì. Ma potrei dirtele solo per tirarti su di morale. O perché le ho lette nella testa di Sam qualche giorno fa.
Grazie, Paul. Non pensavo avessi una così alta opinione di me.
Già. Comunque se ti facessi passare la sbandata per la donna del vampiro o pensassi a qualcos'altro ogni tanto, la mia stima aumenterebbe notevolmente!
Bah. Lo sapevo che non si poteva fare un discorso serio con te Paul.
Sentimmo un ululato di richiamo. Era Sam. Ma non potevamo lasciare Bella senza protezione. Subito sentii un odore tanto forte da pungermi il naso. Vidi la sanguisuga bionda, bella da mozzare il fiato, lo riconoscevo anche se il suo odore mi dava sui nervi, con quello che doveva essere il suo compagno.
«Cuccioletti siamo venuti a darvi il cambio» .
No, il mio turno non era ancora finito.
Jacob, Paul, tornate subito alla riserva. Rimarranno i Cullen con Bella.
Ordine Alfa. Non si discute.
Sam cosa è successo? Chiesi mentre tornavamo di corsa a La Push.
Niente, i Cullen sono tornati dalla caccia prima del previsto e hanno insistito per prendersi le loro ore di ronda. Arrivati nei pressi della riserva ci trasformammo.
«Paul, salutami gli altri, io vado da mio padre»
«Se qualche volta venissi alle riunioni non ti farebbe male, Jake»
«E a che serve? Tanto poi mi rimettete in pari voi!» dissi dirigendomi per tornare a casa.
Sentii delle grida provenire da casa mia. Mi avvicinai silenziosamente.
«Ti ho detto di no. Non voglio che lei gli parli» disse mio padre.
«Billy, dovrebbe essere lui a decidere, non tu. Ora che vuoi fare con quella lettera? Non gliela vuoi dare?» era Charlie. Ma di che lettera stavano parlando?
«Non per il momento. Sta ancora troppo male per colpa di tua figlia»
«E Bella? Secondo te non sta male? Vuole bene a Jake, e il fatto che lui si sia innamorato di lei senza essere corrisposto non è un buon motivo per perdere un'amicizia così importante» già, Charlie e Billy non sapevano che Bella si era dichiarata.
«Non cambia niente. Non gli darò la lettera»
Decisi di entrare in casa.
«Di che lettera parlavate papà?»
«Di niente» rispose mio padre.
«Di una lettera che Bella ha scritto per te e che Billy non vuole darti» rispose Charlie.
Avevano parlato insieme.
«Papà, mi daresti quella lettera?»
Dovevamo farla finita con quella storia.
«Ma Jake...»
«Bravo figliolo, si fa così!» mi disse Charlie dandomi una pacca sulla spalla.
«Già. Papà non preoccuparti. Leggerò quella lettera e risponderò» ma ti assicuro Charlie che dopo oggi non mi vorrai più vedere. Devo ferire tua figlia. Non posso fare altrimenti. Non ci lasceremmo più in pace. Soffriremmo per il resto dei nostri giorni.
Presi la lettera e me ne andai in camera mia a leggere. Al termine della lettura presi un foglio di carta e una penna. La prima si spezzò in due mentre cercavo di scrivere la data. Maledizione. Ero troppo nervoso e stavo facendo danni.
Ne presi un'altra e scrissi "Cara Bella". Già lì, la mia decisione di farle del male stava svanendo.
Buttai giù un po' di pensieri sparsi, ma nessuno andava bene come risposta. Alla fine decisi di scrivere la verità: "Sì. Mi manchi anche tu. Un sacco. Ma questo non cambia le cose. Perdonami"
Avevo le lacrime agli occhi, perciò consegnai di corsa il biglietto a Charlie ed uscii senza neanche salutare. Sempre di corsa raggiunsi la spiaggia. Mi sedetti a guardare le onde. Le giornate iniziavano ad allungarsi e a quell'ora il sole stava tramontando sull'oceano. In qualsiasi altra parte della costa ovest della nazione. Non a La Push, dove il sole si vedeva con una media di due giorni l'anno. Maledetto tempo di schifo. Se tu non fossi stato così loro non sarebbero venuti qui, e lei non li avrebbe mai conosciuti.
Raccolsi un sasso e lo lanciai il più lontano possibile nell'acqua.
«Se non stai attento potresti finire col colpire qualche barca!» mi disse una voce dolce. Emily.
«Emily, che ci fai qui?»
«Facevo una passeggiata... In realtà ho accompagnato Claire da Quil e ti ho visto passare di corsa. E' successo qualcosa?»
«Niente di che» risposi mentre la mia mano si stringeva ancora più forte attorno a quel foglio di carta da lettere azzurra impregnata del suo odore.
«Jake, non sei capace di dire bugie» mi rispose.
«Sì, che sono capace» con tutti tranne che con te, che sembri leggere al volo quello che passa per la testa di noi ragazzi del branco, aggiunsi tra me e me, mentre scuotevo la testa come un bambino ostinato.
«Allora?» mi incalzò.
«Bella mi ha scritto una lettera. Ed io le ho risposto che la nostra amicizia non può continuare in questa situazione»
«Posso leggere?» disse accennando al foglio ormai stracciato tra le mie dita.
Glielo porsi.
Lo lesse con attenzione più e più volte.
«A che decisione si riferisce?» mi chiese alla fine.
«Ti potrei mentire e dirti che si riferisce alla sera in cui ha confessato di amarmi, ma in realtà è una cosa che è successa un po' prima» dissi.
«Mi vuoi dire cosa?»
«Le ho promesso che non ne avrei mai parlato con nessuno»
«E sei riuscito a mantenere il segreto? Anche con i tuoi fratelli?»
«Già. Perciò...»
«Perciò se tu potessi eviteresti di dirlo anche a me, ma hai bisogno di qualcuno con cui parlare e quindi me lo dirai lo stesso, visto che sei sicuro che da me non uscirà nulla» continuò lei per me.
A volte pensavo che mi conoscesse più di quanto io stesso non facessi.
«Si riferisce alla sera in cui ha deciso di fare l'amore con me»

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