Sensazioni (Pov Jacob)

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Jacob

«Boss, avrei proprio bisogno di quei pezzi di ricambio che ti ho chiesto ieri!» mi disse Embry.
«Di quali pezzi... ah già!» esclamai, stranito.
«Jake, sei proprio sicuro che in montagna non sia successo niente? Sei distratto, non sembri neanche tu. Se non ti conoscessi e non sapessi che è praticamente impossibile, a meno che i morti non resuscitino, direi che ti sei innamorato!»
«Ma la pianti di sfottermi e torni a lavorare?» chiesi irritato, lanciandogli lo straccio sporco di grasso che tenevo tra le mani.
«Lo farei molto volentieri, ma il mio capo si è dimenticato di fare l'ordine per i pezzi che mi servivano» disse, restituendomi lo straccio, prima di allontanarsi rintanandosi nell'ufficio di Leah. Già. L'officina era di mia proprietà, ma di fatto la gestiva lei. Io ed Embry ci occupavamo del "lavoro sporco". Posai lo straccio tra gli attrezzi e andai a lavarmi le mani. Non riuscivo a concentrarmi, tanto valeva che facessi un salto a Port Angeles a prendere quei maledetti pezzi di ricambio. Tolsi la tuta da meccanico che tenevo sopra i vestiti, poi mi avviai verso l'ufficio per andare a prendere le chiavi del pick up dell'officina. Aprii la porta e... la richiusi subito.
«Cercatevi un motel!» gridai da fuori. Embry mi aprì al porta dopo un paio di minuti.
«Se avessi bussato, prima di entrare, ci saremmo risparmiati questo momento imbarazzante» mi disse Leah, finendo di riallacciarsi la camicetta che indossava, ora.
«Non pensavo di dover bussare alla mia porta, del mio ufficio, nella mia officina» risposi acido.
«Tecnicamente l'ufficio è il mio» mi disse lei, con un sorriso da far invidia alla protagonista di uno spot per dentifrici.
«Io pago il tuo stipendio e l'affitto dei locali, quindi credo che l'ufficio sia il mio - ribadii - comunque a me servivano solo queste!» Presi le chiavi e uscii dalla stanza. Poi rientrai.
«Continuate pure» dissi.
La settimana appena trascorsa era stata un inferno. Avevo trattato male tutti quanti, compresi i bambini. Compresa mia sorella, che stava per partorire ed ero quasi venuto alle mani con Paul per questo motivo. Emily mi aveva mandato a quel paese, forse per la prima volta in vita sua, e Seth mi aveva detto di farmi vivo quando mi fosse passata.
Nessuno sapeva il perché di quel cambiamento d'umore tanto improvviso. Non avevo detto a nessuno cosa era successo in montagna. E forse era arrivato il momento di parlarne. Come se non fosse bastato, ci si erano messe anche le curiosità dei gemelli sui lupi. Perché alla fine qualcosa per giustificare il nostro comportamento io e Seth avevamo dovuto dirla loro. E la temperatura di Ethan che rimaneva fissa sui trentotto gradi. Avevamo sperato che fosse una semplice influenza, ma dopo una settimana in cui aveva saltato come un grillo avevo smesso di farlo.

Salito in macchina, sbattei la portiera e accesi il motore. Girai dalla parte opposta a quella che avrei dovuto prendere. L'officina era sulla statale. Uscendo, girare a destra significava andare a Port Angeles. Girare a sinistra era tornare a Forks. Girai a sinistra.
Parcheggiai nel cortile della scuola superiore. Andare a trovare Seth sul lavoro era ormai diventata un'abitudine. Nonostante il clima ancora piuttosto piacevole non c'era nessun ragazzo in giro. Probabilmente erano tutti a lezione. Mi diressi verso l'edificio adibito a segreteria. Era lì che Seth aveva il suo ufficio. La segretaria mi sorrise
«Ancora qui, signor Black?» Nessuno mi chiamava più Jacob. Le sorrisi a mia volta, senza dare troppo peso allo sguardo ammaliante - o tentato tale - della donna. Oramai ero abituato ad essere guardato così.
Ero un bell'uomo, giovane, scapolo, con un lavoro fisso, dei guadagni certi e due figli adorabili e ben educati che avevo cresciuto pressoché da solo - se si escludevano Seth, Rachel, mio padre, Charlie, Sue e tutta la La Push. Prima o poi avrebbero sparso la notizia di una mia relazione con Seth, se non avessi iniziato a prendere in considerazione almeno una di tutte quelle zitelle. Ma che potevo farci, se non me ne interessava nessuna?
Bussai alla porta dell'ufficio e attesi che il mio amico mi invitasse ad entrare.
«Avanti!» rispose pigramente dopo qualche istante.
Aprii con cautela, affacciandomi solo con la testa per poter usare la porta come scudo nel caso Seth avesse deciso di tirarmi qualcosa. La sua faccia era abbastanza chiara, ma almeno non mi tirò nulla. Con decisione, aprii la porta per bene ed entrai. Mi sedetti su una delle poltroncine di pelle che aveva davanti alla scrivania.
«E' una cosa lunga? - mi chiese brusco - perché avrei da lavorare, e non ho voglia di ricevere ancora insulti da te»
«Scusami, Seth» dissi io in risposta.
«Come, come? Ho sentito bene? Il gran capo lasciami-in-pace-ho-sofferto-solo-io si è deciso a chiedere scusa?»
«Ok, questa me la merito»
«Te ne meriteresti molte di più - rispose, ma il suo tono si era ammorbidito - allora, perché sei venuto?» Mi sorrideva, come avrebbe fatto se al mio posto fosse entrato uno studente con un problema, in attesa che trovasse il coraggio di parlargliene.
«Smettila di sorridere come un coglione, Seth - gli dissi - ero venuto per chiederti un favore»
«Te lo faccio se smetti di insultarmi»
«E tu smetti di sorridere, sei inquietante»
«Ok» disse, facendosi serio.
«Puoi passare a prendere Sarah e Ethan a scuola e tenerli con te per il pomeriggio? Devo arrivare a Port Angeles a prendere dei pezzi di ricambio»
«No problem. Ai gemelli penso io!»
«Grazie!» feci per alzarmi, poi mi rimisi seduto. Ero andato lì per un'altra cosa. E non me ne sarei andato finché non l'avessi detta.
«Sei sicuro che non ci sia nient'altro che vuoi dirmi?»
Tutto, nel suo tono, nel suo sguardo, mi impedivano di mentirgli. Era davvero bravo nel suo lavoro.
«Seth, non sono uno dei tuoi studenti. Quindi smettila di trattarmi come se lo fossi. Comunque sì, ci sarebbe un'altra cosa. Riguarda il giorno che siamo andati in montagna»
«Oh, menomale che ti sei deciso a parlare da solo. Un'altra settimana così e avrei convinto i ragazzi a legarti su una sedia senza darti da mangiare fin quando non avessi sputato il rospo»
«Scommetto che Paul ne sarebbe stato molto felice» brontolai.
Lui ridacchiò.
«Allora cos'è...»
Fu interrotto da due colpi alla porta, ai quali non fece in tempo a rispondere, che la porta si aprì, rivelando un paio di gambe che mi tormentavano da una settimana.
«Seth, potresti firmarmi questa, così me ne vado. Il professor Banner è un tale rom... ops!» disse, con quella voce melodiosa che aveva, e che mi aveva tolto il sonno da sette giorni. Quando si accorse di me tornò indietro, richiuse la porta e bussò di nuovo. Non capivo, e non capii finché Seth non mi guardò divertito, rispondendole.
«Avanti!»
Quella volta la porta si aprì su una ragazza infinitamente più composta ed educata di quella che aveva messo piede prima nella stanza.
«Signor Clearwater, il professor Banner mi ha mandato da lei con queste, dice che è necessario che me le firmi entro la fine dell'ora, visto che dovrò passare il pomeriggio in punizione» Seth prese i due foglietti rosa, scuotendo la testa, come se fosse un'abitudine per quella ragazza.
«Allison, cosa hai combinato questa volta? Passi praticamente ogni pomeriggio in punizione, e sei qui da una sola settimana. Tra l'altro il professor Banner è uno dei professori meno severi della scuola. Credo tu sia la prima a cui dà una nota»
«Gli ho solo dimostrato che riesco a scrivere ogni sua parola, quasi sotto dettatura, nonostante... - mi guardò imbarazzata prima di continuare - nonostante fossi impegnata a respingere le avances di Daniel»
La stessa quantità di sangue che era salita alle sue guance a me era scesa da un'altra parte. Una parte del mio corpo che non ricordava di essere viva da... beh, troppo tempo.
«Ok, questo giustifica una nota, non due! Cosa hai fatto per meritarti l'altra?» le chiese Seth, sinceramente curioso, mentre io continuavo a mangiarmela con gli occhi. Era illegale mandare in giro una minorenne conciata in quel modo. Aveva un vestito verde scuro, con una gonna che dire corta sarebbe stato un insulto alla minigonna della settimana prima. Il coprispalla verde chiaro era allacciato sotto il seno, mettendolo bene in evidenza. Se non fossi stato sicuro di commettere un reato, me la sarei presa lì, sulla scrivania di Seth, davanti a lui e a tutte le segretarie zitelle della scuola che mi avevano messo gli occhi addosso. Poi mi resi conto dei pensieri che stavo facendo. Scossi la testa e continuai ad ascoltare la sua conversazione con Seth. Niente di più sbagliato.
«... e così, quando mi sono alzata a prendere la nota, la gonna si è sollevata un po' - lasciandola praticamente nuda, avrei aggiunto io - e Daniel è riuscito a vedere il mio intimo. E... gli è uscito il sangue dal naso»
Ma che cazzo di intimo portava quella ragazza? Mi sarebbe molto piaciuto scoprirlo. A quel punto la mia erezione era evidente , speravo solo che né Seth, né la misteriosa ragazza dei boschi, Allison a quanto pareva, se ne accorgessero. Mai speranza fu più vana. Seth se ne era accorto sicuramente, ridacchiava come un cretino guardandomi.
«Ally, posso dirti una cosa, senza che la prendi come un rimprovero?»
«Mi dica!»
«Se ti vestissi un po' di più, non staremmo qui tutti i giorni. Anche i professori hanno difficoltà a concentrarsi se ci sei tu in giro!» lei arrossì, e lui continuò.
«Comunque, quando c'è lui - disse indicandomi - puoi anche darmi del tu. Jacob non si formalizza, anzi.» Sorrise ancora. Chissà a cosa pensava quel cretino.
«Beh, visto che oramai è partecipe anche lei delle mie "bravate" come le chiamano i professori, mi presento. Sono Allison Brandon» disse, tendendomi la mano.
«Jacob Black» risposi stringendogliela. Una scossa mi percorse interamente il corpo. Ritrassi la mano bruscamente.
«Signor... Black? - disse pensosa lei - Non sarà mica il proprietario dell'officina sulla statale?»
«Sì, sono io - vidi il suo sorriso illuminarsi ancora di più, se possibile - Ma chiamami Jacob, e dammi del tu»
«Va bene, Jacob. Mi prenderesti a lavorare con te?»
Ero completamente stordito. Di solito le donne stavano lontane dall'officina. Beh, tranne Leah.
«Non saprei... forse Leah può avere bisogno...» Mi interruppe.
«No, non un lavoro di amministrazione! Vorrei lavorare sulle auto, se fosse possibile»
Guardai il suo abbigliamento, prima, e le sue mani, poi. Non aveva certo l'aspetto di un meccanico.
«Non lasciarti ingannare dal mio aspetto. Con le auto ci so fare»
«Beh, possiamo sempre fare una prova - le risposi, sorridendo come un imbecille, mi avrebbe fatto un immenso piacere averla vicina a me - Sabato va bene?»
«Se non sarò in punizione, è perfetto»
«Puoi sempre cercare di comportarti bene, per tre giorni!» esclamai.
«Ok, a sabato allora!» disse lei, lasciando l'ufficio con un sorriso mozzafiato sulle labbra.
«E' bella, vero Jake?» mi chiese Seth, mentre io ero ancora con la testa fra le... nuvole.
«Da impazzire» Mi resi conto di quello che avevo appena detto quando vidi Seth amplificare il suo sorriso.
«E' la prima volta che ti sento fare commenti su una donna da quando... da quando Bella non c'è più»
«Beh, sarà anche l'ultima» mormorai fra me e me, deciso a tenergli il muso per avermi preso in contropiede.
«Jake, non ti negare questa possibilità di essere felice!»
«Con una minorenne? Con una che potrebbe essere la compagna di giochi di mia figlia?»
«No, con una ragazza di ventuno anni che fa ancora il liceo perché ha avuto dei problemi di salute!»
«Quali problemi di salute può avere una che puzza come un vampiro?» chiesi.
«Non ne ho idea, se vuoi ti prendo la sua scheda e leggiamo insieme quali malattie ha avuto. Però, Jake, ho visto come la guardi, e ho visto anche come lei guarda te. Non essere stupido per una volta. Per una volta non lasciare che ti faccia del male anche da dove è ora!»
«Io le ho fatto del male. Io ho lasciato che la uccidessero. Perché dovrei sentirmi libero di amare qualcun altro?» urlai.
«Perché è questo che vorrebbe, Jake. Che tu trovassi qualcun'altra e che non soffrissi più per lei»
«E tu come lo sai?»
«Perché è quello che voleva quando era ancora viva » mi rispose secco.
Non seppi come controbattere. Sapere che Bella aveva sperato in un nuovo amore per me mi riempiva di gioia, perché significava che si era preoccupata per me, almeno un po', ma mi rendeva anche infinitamente triste.
«Comunque la puzza di vampiro può essere spiegata dal fatto che abiti a casa Cullen, e che la casa sia stata chiusa per tutti questi anni, conservando gli odori e amplificandoli. Vedrai che con il tempo si attenuerà»
Ma Seth c'era o ci faceva? La scusa sarebbe stata plausibile se l'odore di quella ragazza non avesse... già, ma lui non sapeva. Ed io ero andato lì per spiegargli il mio malumore di quell'ultima settimana.
«Seth, sai cos'è successo la settimana scorsa in montagna?»
«No, me lo vuoi dire?»
«Era lei.»
«Cosa?»
«Era lei, Allison, a riempire l'aria dell'odore dei vampiri»
«Quindi?»
«Quindi non è la casa, è lei!»
«Mi stai dicendo che è un vampiro? Ma l'ho vista mangiare con gli altri ragazzi, a mensa, e venire a scuola anche quando c'è il sole»
«Non so cosa sia. So che puzza di vampiro»
«E che ti piace» Lo guardai storto.
«Jake, quello - disse indicando di nuovo il rigonfiamento nei miei pantaloni - non puoi nasconderlo!»
«Si chiama attrazione fisica. Fai in modo di non provarne per mia figlia finché posso leggerti in testa» gli ricordai.
«Si chiama attrazione fisica, e non ne hai provata mai per nessuna donna che non fosse lei, neanche le più belle. Ora arriva questa ragazzina e ti scombussola tutti i piani. C'è di che essere arrabbiato!»
«Quali piani?»
«Quelli di non innamorarti più!»
«Non mi sono innamorato»
«E allora perché non l'hai attaccata? Era una minaccia. Puzzava di vampiro. Poteva essere pericolosa. E non ha un graffio. Non hai ululato. Non mi hai fatto capire cosa fosse successo»
«Lei... lei ha i suoi occhi» dissi a mezza bocca, quasi vergognandomi.
«Quindi ti piace»
«Non lo so, Seth. Ho avuto una sensazione sconvolgente. Mi sentivo al sicuro. Mi accarezzava e non volevo altro che quello»
«Ti sei fatto avvicinare da lei?»
«Sì, Seth, e non so perché. So solo che quando ho visto la lapide di Bella ho capito che dovevo andarmene. Perché non voglio più soffrire» conclusi in un soffio.
«Jake, io posso capirlo, ma devi andare avanti» mi rispose lui.
«Seth, ne possiamo parlare stasera?- dissi, guardando l'orologio - E' tardi e devo ancora andare a Port Angeles. Mi raccomando i bambini»
«Con me saranno al sicuro» mi rispose.
«Ne sono certo!»
Uscii dall'ufficio e salii di nuovo sul pick up. Questa volta diretto a Port Angeles.

Da una qualsiasi altra parte del mondo
«Cosa significa che non sai dov'è nostra figlia?»

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